sergio mattarella e mario draghi
DAGONOTA
La nascita del governo Mattarella-Draghi, che oggi continua a dividere (anche sui media) i contrapposti spiegamenti (tra i delusi perplessi e i contenti con riserva) fronteggiatisi aspramente nel corso della crisi aperta con le dimissioni del Conte bis, in realtà è figlia soltanto di una “tempistica” e di un “metodo” che il Capo dello Stato aveva ben illustrato con il messaggio in tv di fine anno 2020.
E se il ricorso al Manuale Cencelli sulla spartizione delle poltrone ministeriali, ormai una sorta di santo prontuario quanto la Sacra Bibbia e l’Artusi culinario, può scandalizzare soltanto chi ancora non ha preso atto che il destino della legislatura si giocherà nelle aule parlamentari e fuori da quel che resta delle segreterie di partito (senza partito).
Certo, anche un Cencelli “buono” applicato dal Capo dello Stato non merita di essere citato dai giornaloni in calore per Draghi, incensato oltremisura e caricato di aspettative che fanno a pugni con la drammatica situazione politica-sanitaria-economica ereditata dal Conte uscente.
Uno stato delle cose in cui a dettare la stessa agenda programmatica di Draghi sarà, piaccia o meno, il Cts. Cioè il Comitato tecnico scientifico da cui dipendono strettamente le decisioni anche del nuovo esecutivo sull’evolversi della pandemia che continua a seminare morti in Italia e nel mondo.
Meglio allora, come scrive la Repubblica, mettere in soffitta quel manuale e osservare che il premier entrante “ha saputo usare con accortezza la bilancia” nel mettere in campo la sua formazione. Già, ma quale “bilancia” (partitica) se non l’innominabile Cencelli?
Per tornare al Fattore M, cominciamo, dunque, dalla scadenza del settennato di Mattarella (febbraio 2022) per arrivare alla fine della legislatura (marzo 2023). Per il Capo dello Stato, che spesso ama citare l’Ecclesiaste - “per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante” -, il suo discorso di Capodanno era anche il passo d’addio dal Quirinale, senza possibili ritorni (rielezione).
Il prossimo luglio Mattarella compirà 80 anni. E poiché anche la simbologia in politica ha una sua valenza, per la prima volta in sette anni il presidente della Repubblica aveva pronunciato il suo messaggio in piedi e al piano terra della Vetrata, con il cortile d’onore del palazzo unico sfondo.
Così, di fronte all’ostilità ribalda di Matteo Renzi (che non ha giocato di sponda con il Quirinale come qualcuno aveva sospettato) e ai tentativi velleitari dei “responsabili” di far maggioranza a Palazzo Madama (tappabuchi) sostituendosi all’Italia dei livori, Mattarella si è trovato di fronte a un bivio: sciogliere soltanto il senato come gli consentirebbe la Costituzione e indire nuove elezioni. Oppure dare “per morto” il tentativo di un Conte ter.
sergio mattarella e mario draghi
Scartata subito la prima ipotesi in un periodo di grande pandemia e con le regole del voto da riscrivere, Mattarella ha fatto appello alla ragione di tutte le forze parlamentari per un governo di unità nazionale.
Il che l’ha costretto a tirare fuori dalla manica l’asso che fin qui aveva tenuto al riparo dai partiti per spianargli, senza bruciarlo, la via della sua successione al Quirinale: Mario Draghi. E tenersi en réserve de la Répubbliquel’altra sua candidata, l’ex presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, indicata da Mattarella per il dicastero della Giustizia.
E’ davvero impensabile, anche se ne abbiamo viste di piroette istituzionali, che tra un anno il nuovo inquilino di palazzo Chigi abbandoni la guida dell’esecutivo per candidarsi al Quirinale.
Tant’è che l’indisponibilità a scendere in campo dell’ex capo della Bce, da oltre un anno invocato più per scalzare Giuseppe Conte dalla poltrona che per averlo come scomodo inquilino di Palazzo Chigi, non era un mistero neppure per il “suo amico” Carlo De Benedetti, che era andato in tv dalla Gruber a raccontarlo ai quattro venti.
E va pure ricordato che nel 2007 l’allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano, aveva tentato di portare Draghi a palazzo Chigi prima di dare l’incarico a Romano Prodi. Ricevendone un fermo rifiuto dal governatore di Bankitalia. “Un sistema finanziario moderno non tollera commistioni tra politica e banche. La separazione sia netta: entrambe ne usciranno rafforzate”, osservò rifiutando l’invito l’ex allievo di Federico Caffè.
Una presa di posizione netta che oggi appare contraddirlo con la sua scelta di prelevare direttamente da palazzo Koch il direttore generale, Daniele Franco, per promuoverlo ministro dell’Economia.
Già, l’uomo della Provvidenza invocato da Salvini a Berlusconi passando per Matteo Renzi (il cui unico scopo era andare all’incasso della testa di Giuseppi), la cui leadership burocratica (Max Weber) deve fare i conti non tanto con una “task force” ministeriale (titolone bufala della Repubblica), ma con un eptapartito multicolore (Pd-5 Stelle-Lega-Forza Italia-Leu–Italia Viva) tarato al centimetro con il bilancino della partitocrazia, il Cencelli da sempre tanto deprecato.
E con 8 ministri tecnici su 15 politici, alcuni definiti sbrigativamente – giusto o meno - dei “dilettanti” allo sbaraglio nell’esecutivo Conte. “E’ un Conte ter con Draghi”, rileva pungente il direttore de il Foglio.
Ma nei giorni delle consultazioni, il Capo dello Stato seguendo il suo “metodo”: evitare il voto anticipato (in settembre) a pochi mesi dalla sua uscita dal Quirinale (febbraio 2022), che avrebbe provocato un corto circuito istituzionale, con il suo “no” alla riconferma, si è costruito il “suo” governo bicefalo nel tentativo di arrivare con una nuova legge elettorale al voto dell’aprile 2023.
Una sorta di Ortro mitologico. Un cane a due teste: Mattarella (politica) e Draghi (tecnica) che ancora non aveva fatto la sua apparizione nello zoo politico italiano.