1. DUE LEADER E DUE PIAZZE PRIMI MILITARI CON GUAIDÒ E MADURO RINGRAZIA L' ITALIA
Paolo Manzo per ''il Giornale''
Ieri a Caracas ci sono state due manifestazioni. Una a Las Mercedes dove il presidente costituzionale Juan Guaidó ha pronunciato un discorso destinato a segnare uno spartiacque nella crisi venezuelana. L' altra in Avenida Bolívar, dove Maduro, per riuscire a fare un po' di «massa» ha ordinato alla Guardia Nazionale Bolivariana di andare a prendere i manifestanti con «las perreras» - camion per raccogliere originariamente cani randagi ma che il regime usa adesso per trasportare persone.
Nonostante la violenza degli sgherri governativi (soprattutto gli squadroni della morte del Faes), davanti a Guaidó ieri c' erano un milione di venezuelani che ha giurato di rimanere in strada sino a quando non cesserà la dittatura, alcuni dei quali con il nostro tricolore in segno di protesta contro il mancato riconoscimento dell' Italia. A sentire Maduro, invece, erano non più di 50mila. Certo, Vtv, la televisione statale diventata l' house organ del dittatore, ha fatto le solite inquadrature strette per far credere agli allocchi che la farsa del 20 maggio 2018 con cui Maduro usurpa il potere dal 10 gennaio scorso sono state elezioni.
DELEGAZIONE M5S A CARACAS: MANLIO DI STEFANO, ORNELLA BERTOROTTA E VITO PETROCELLI
Il problema è che né la legge, né il popolo sono oramai più con il dittatore, come dimostra un sondaggio di Metanálisis secondo il quale oggi solo il 4,1% dei venezuelani riconosce Maduro, contro un 86,4% a favore di Guaidó. In compenso c' è l' Italia di Conte, ringraziata dallo stesso dittatore per averlo riconosciuto insieme a paesi del livello democratico di Cuba. Cosa che ha scatenato la reazione del sottosegretario agli Esteri della Lega, Gugliemo Picchi, che ha invitato il dittatore a «lasciare subito», differenziandosi dai leader dei 5 Stelle. Per la cronaca, Maduro ha anche annunciato elezioni anticipate, non però le presidenziali ma quelle per il Parlamento, ultima oasi istituzionale di libertà a Caracas. Una presa per i fondelli, l' ennesima.
Tralasciando le altre provocazioni del dittatore, nel suo discorso Guaidó ha invece prima ringraziato una deputata dei comunisti Tupamaros presente sul suo palco giusto a conferma che l' ideologia qui c' entra nulla la quale, nonostante le minacce di morte del regime, ieri si è dissociata dalla dittatura. Poi si è appellato ai chavisti affinché, delusi dalla rivoluzione, si schierino dalla sua parte, ringraziandoli mentre la folla gridava «unione, unione». «Grazie anche a un generale» che, sempre ieri, ha dichiarato in video di non volere più sparare sul suo popolo e che il 90% delle Forze armate sono ormai contro il regime.
«Qualsiasi funzionario che si schieri dalla parte della Costituzione è il benvenuto» ha ribadito il presidente. Infine ha annunciato la notizia destinata a fare storia, ovvero, che è pronta «una coalizione globale per gli aiuti umanitari in Venezuela. Abbiamo già tre punti di raccolta: il primo a Cúcuta, in Colombia (la Lampedusa terreste da cui sono passati oltre un milione di venezuelani in fuga dalla fame, ndr), un altro in Brasile e l' ultimo su un' isola caraibica ed entrerà via mare».
E mentre il Faes uccideva un altro ragazzo in una zona popolare della capitale con un colpo in testa per «dare l' esempio» nel cuore della notte, Guaidó spiegava che oggi ci sono tra «250mila e 300mila venezuelani a rischio di morte per malnutrizione e mancanza di farmaci». E che la distribuzione di questo primo aiuto sarà destinata a loro. «Non c' è paura di una guerra civile ha concluso - perché il 90% del paese vuole un cambiamento. Nessuno in Venezuela è disposto a sacrificarsi per un dittatore che non offre alcun tipo di soluzione alla gente».
2. E IL PETROLIO ORA PUÒ FAR CADERE IL REGIME
Paolo Manzo per ''il Giornale''
È bastato che gli Stati Uniti, stufi di sentirsi insultare ogni giorno dalla dittatura di Maduro, interrompessero l' acquisto dei 500mila barili di petrolio che compravano ogni giorno, pari a circa 30 milioni di dollari cash, perché il dittatore venezuelano cominciasse a capire che il suo tempo era oramai scaduto. Del resto oggi Caracas estrae appena un milione di barili, meno di un terzo rispetto ai 3,5 milioni di 20 anni fa, quando il chavismo arrivò al potere, distruggendo l' industria che da sola garantisce il 95% del Pil venezuelano. Usa a parte, altri 330mila barili ogni giorno Maduro li vende a Pechino ma, piccolo particolare, non ottiene un dollaro in cambio in contanti. Il motivo?
Quei barili, dal valore di quasi 20 milioni di dollari al giorno, servono per ripagare una parte infinitesimale dell' enorme debito che il regime ha nei confronti della Cina. Tutti gli altri, invece, finiscono nei Caraibi, quasi a tutti a Cuba, il cui governo dittatoriale sarà, sicuramente, il più danneggiato dalla prossima ed imminente uscita di gioco di Maduro. Non a caso all' Avana Diaz-Canel e soci sono preoccupati perché, se verranno meno gli aiuti da Caracas, sarà gioco forza per loro cambiare sponsor. Dopo il crollo dell' Urss, Fidel Castro sopravvisse al «periodo speciale» solo perché poi trovò la ciambella di salvataggio di Chávez.
fabiana rosales moglie di juan guaido' 3
Ora si pone di nuovo il problema, con la differenza che il Messico è più lontano geograficamente ma, soprattutto, Internet ha cominciato a fare crescere le proteste anche a Cuba. Solo ieri, ad esempio, Diaz-Canel - in visita in un quartiere colpito da un tornado qualche giorno fa - è stato costretto a ritirarsi perché fischiato e spernacchiato dalla popolazione locale, che vive in quelle che se fosse in un altro paese da tempo i media definirebbero favelas. Ora l' annuncio fatto da Guaidó che sono già pronti al confine di Colombia e Brasile e nel Mar dei Caraibi aiuti umanitari che entreranno in Venezuela nelle prossime settimane accelera i tempi.
Possibilmente entreranno con l' aiuto dell' esercito venezuelano, ha detto il presidente costituzionale, chiarendo comunque che accadrà a prescindere dalla volontà di Maduro. Una questione di settimane per chiudere la partita con il delfino di Chávez insomma. Un Maduro sempre più isolato anche perché la Cina deve ricevere da lui qualcosa come 60 miliardi di dollari e sa bene che ha più probabilità di prenderli se arriva un nuovo presidente che riesce a rimettere in sesto l' economia, piuttosto che resti «el moribundo», il moribondo come oramai lo chiamano anche i chavisti.
Non a caso la realpolitik cinese ha portato l' altroieri Pechino ad annunciare la fine della sua collaborazione con Pdvsa, la statale petrolifera venezuelana, di cui gli Usa hanno congelato i conti, assieme a quelli della sua partecipata Citgo, la sesta maggiore raffineria degli Stati Uniti. Guaidó ieri ha annunciato che, dopo ambasciatori e addetti commerciali, nelle prossime ore annuncerà anche i nomi della nuova Citgo: per ora al di là delle parole, Putin tace mentre Trump incombe su Caracas.