1.USA: RE SAUDITA CHIAMA OBAMA DOPO INCONTRO SALTATO
(ANSA) - Il re dell'Arabia Saudita, Salman bin Abdul Azizi al Saud, ha telefonato al presidente degli Stati Uniti Barack Obama esprimendo il suo rammarico per la mancata partecipazione all'incontro alla Casa Bianca con il presidente americano e al summit di Camp David con i leader dei paesi del Golfo, e ha confermato che al suo posto saranno presenti il principe ereditario Mohammad bin Nayef e il vice erede Mohammad bin Salman. Lo rende noto la Casa Bianca.
L'assenza del re saudita e di altri leader del Golfo e' stata interpretata come un chiaro segnale di insoddisfazione per il disgelo americano con l'Iran, principale sostenitore politico dei miliziani Houthi yemeniti, proprio mentre sta per entrare in vigore un atteso cessate il fuoco in Yemen. La Casa Bianca ha tentato di minimizzare l'episodio, insistendo che non segnala alcuna crepa nelle relazioni tra Stati Uniti e I paesi del Golfo.
2.ALTRI LEADER GOLFO ANNUNCIANO CHE NON ANDRANNO A CAMP DAVID
(ANSA-AP) - Non solo il re saudita Salman: anche i principali capi di Stato degli Stati del Golfo Persico non parteciperanno al summit di Camp David. Il Bahrein ha annunciato che la delegazione - come quella di Riad - sarà guidata dal principe ereditario. Assente anche il sultano dell'Oman, Qaboos bin Said, che verrà rappresentato dal vicepremier, e il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Khalifa bin Zayed Al Nahyan, che ha subito un ictus a gennaio e da allora non compare in pubblico. Certa invece la partecipazione degli emiri del Qatar e del Kuwait.
3.SCHIAFFO A OBAMA DAI PAESI DEL GOLFO
Federico Rampini per “la Repubblica”
michelle e barack obama con re salman dell arabia saudita
Non ci sarà il re saudita, Salman, che all’ultimo momento ha deciso di mandare il principe ereditario Mohammed bin Nayef. Non ci sarà neppure il monarca di Bahrein. Fioccano le cancellazioni, e le sostituzioni non proprio eccellenti, al summit di questo giovedì a Camp David. Eppure Barack Obama ce l’aveva messa tutta, per trasformarlo in un simbolo di riconciliazione con i potentati arabi del Golfo. Il presidente americano ha invitato nella sua residenza di campagna — sede di storici accordi diplomatici — i leader del Consiglio di Cooperazione del Golfo.
IL SULTANO DELLOMAN QABOOS BIN SAID AL SAID
Sei paesi in tutto, con un peso massimo come l’Arabia saudita e poi gli Emirati, il Qatar, il Kuwait, Bahrein e Oman. Al centro della giornata di dialogo ci sarà naturalmente il “convitato di pietra”, l’altra potenza regionale che si affaccia sul Golfo, ma che gli arabi considerano come un temibile avversario: l’Iran. Non è un segreto che l’accelerazione del negoziato sul nucleare iraniano, con la spinta decisiva data da Obama, ha coinciso con un pesante deterioramento nel rapporto con l’Arabia saudita e gli altri paesi del Golfo.
Siamo ormai a un mese e mezzo dal traguardo: il 30 giugno è la scadenza entro la quale l’Iran e le sei potenze che negoziano sul nucleare dovrebbero decidere se ci sono le condizioni dell’accordo.
Prima di allora, Obama vuole fare un tentativo in extremis per placare le paure dei paesi arabi che si affacciano sul Golfo. Ma le cancellazioni dell’ultimo minuto, con sostituti di rango inferiore che verranno a Camp David, indicano che la tensione è tuttora ai massimi. Soprattutto fra l’Arabia saudita e gli Stati Uniti, un tempo alleati di ferro, ormai i dissensi prevalgono. Non c’è solo l’Iran, per la verità: le strategie di Washington e Riad cominciarono a divergere platealmente quando Obama rinunciò a bombardare Assad, deludendo i sauditi che volevano un intervento militare in Siria per rovesciare il regime. Anche in quel caso però c’era dietro l’Iran: far fuori Assad significava eliminare uno dei pochi alleati fedeli di Teheran in Medio Oriente.
EMIRO DEL QATAR Tamim ben Hamad Al Thani
Sul nucleare, la posizione dell’Arabia saudita assomiglia molto a quella di Israele: zero fiducia sull’affidabilità degli iraniani nel mantenere gli impegni; dura condanna della levata delle sanzioni che farebbe seguito all’accordo. I sauditi sono particolarmente preoccupati da questo secondo aspetto: una volta eliminate — sia pure gradualmente — le sanzioni economiche, l’Iran tornerebbe ad essere un peso massimo nel mercato petrolifero mondiale. E dalle vendite di greggio ricaverebbe mezzi per finanziare gruppi terroristici, o “guerre per procura” come quella nello Yemen.
matteo Renzi e lo sceicco Mohammed Zayed Nahyan
A dar voce alle preoccupazioni degli alleati arabi del Golfo, ecco questa dichiarazione dell’ambasciatore degli Emirati: «In passato con l’America ci bastavano patti tra galantuomini per intenderci; ora vogliamo garanzie scritte». È un’allusione ad un trattato di aiuti militari e di assistenza in caso di aggressione, che sauditi ed altri vorrebbero da Obama: sul modello della difesa che gli Usa garantiscono ad Israele. O quantomeno qualcosa che assomigli ai trattati che l’America ha firmato con Giappone e Corea del Sud. Più, naturalmente, nuove forniture di armi hi-tech made in Usa.
4.LA SVOLTA SAUDITA CONTRO TEHERAN GIOVANI AL POTERE E UN NUOVO REGNO
Gilles Kepel per “la Repubblica”
Francois Hollande, nuovo idolo delle petromonarchie della Penisola arabica? Il 4 maggio scorso, per la prima volta nella sua storia, un summit straordinario del Consiglio di cooperazione del Golfo, costituito da Qatar, Emirati arabi, Bahrein, Kuweit, Oman e Arabia Saudita, ha accolto nella persona del presidente francese un capo di Stato straniero. Hollande, sia detto per inciso, arrivava dal Qatar, dove aveva appena firmato un contratto per la vendita di 24 aerei da caccia “Rafale”. Ebbene, al summit è stato accolto come un eroe da quegli Stati del Golfo che non ne possono più dell’amministrazione Obama, colpevole ai loro occhi di voler riammettere nella comunità internazionale il loro storico nemico, Teheran.
Sceicco Khalifa Bin Zayed Al Nahyan
Ma è soprattutto l’Arabia Saudita a interpretare come una sfida il ritorno nel consesso delle Nazioni dell’Iran, Paese di 80 milioni di abitanti, la cui una popolosa e sofisticata classe media, una volta tolto l’embargo economico, potrebbe subire profondi cambiamenti pro-occidentali. Ed è per affrontare questa sfida che il nuovo re Salman, incoronato appena tre mesi fa, ha fatto la sua rivoluzione di palazzo, scegliendo attorno a sé principi e alti funzionari che hanno tra 30 e 50 anni, in un Paese abituato a essere gestito da una classe politica ottuagenaria.
Il monarca saudita ha nominato ministro dell’Interno suo nipote, il cinquantacinquenne principe ereditario Mohammed Ben Nayef, e ministro della Difesa suo figlio, il trentenne Mohammed Ben Salman, nella speranza che quest’iniezione di giovane linfa politica possa migliorare l’efficacia e la modernità delle scelte del Regno. Dopo il suo colpo di mano, il monarca saudita ha però bisogno del più ampio consenso politico possibile, perché il prezzo del petrolio non è mai stato così basso e perché l’importante deficit dello Stato lo costringe a ricorrere alle riserve accumulate in passato per nutrire una popolazione giovanissima e in forte espansione demografica.
Ora, anche in Arabia Saudita lo Stato islamico fa sempre più emuli tra i giovani disoccupati, soprattutto quando mette in dubbio la legittimità religiosa del re saudita in quanto “guardiano dei due luoghi santi”, con cui usurpa un ruolo destinato al Califfo Ibrahim di Mosul. Il predecessore di re Salman, suo fratello Abdallah, aveva lasciato mano libera a chi finanziava le brigate dello Stato islamico per accelerare la caduta del presidente siriano Bashar Al Assad, alleato degli ayatollah.
Ma oggi l’Arabia è a sua volta minacciata da quelle brigate, come lo è da Teheran, perché alle sue frontiere combattono i ribelli yemeniti houti, appartenenti a una setta sciita e anch’essi sostenuti dall’Iran. Per fronteggiare il pericolo alle sue porte, Riyad s’è dunque messa alla testa una coalizione militare sunnita con cui ha lanciato una potente offensiva aerea, senza però ottenere successi decisivi sul terreno.
Nel frattempo Al Qaeda nella Penisola arabica ha stretto alleanza con lo Stato islamico e ne ha approfittato per prendere il controllo di vaste aeree dello Yemen. Stretta tra l’incudine iraniana e il martello jihadista, l’Arabia ha dovuto riconciliarsi con i suoi rivali sunniti di ieri, il Qatar e la Turchia, grandi sostenitori dei Fratelli musulmani egiziani. Perciò, mentre al Cairo il maresciallo Al Sisi reprime nel sangue la Fratellanza musulmana con l’avallo saudita, a Riyad si è giunti alla conclusione che sia impossibile lottare contro tre nemici alla volta. E che per svincolarsi dalla trappola dell’Is e dell’Iran bisogna reintegrare nelle fila sunnite i Fratelli musulmani.
Questa difficile congiuntura si produce nel momento in cui l’America, alleata di sempre dell’Arabia saudita, ma stanca dei suoi incontrollati eccessi salafiti, fa gli occhi dolci a Teheran nella speranza di riuscire a pacificare il Medio Oriente. Ecco perché re Salman ha chiamato al potere una nuova generazione di politici e intronizzato Hollande nuovo eroe occidentale. Vedremo le conseguenze di queste scelte al summit americano con i Paesi del Golfo che si apre domani. Ieri, intanto, il monarca saudita ha fatto sapere che non si renderà a Washington né a Camp David. In segno di sfida, invierà i due principi Mohammed, suoi successori al trono.
VERTICE CAMP DAVID OBAMA HOLLANDE MONTI MERKEL