Articolo di Ian Bremmer pubblicato dal “Corriere della Sera” (Traduzione di Rita Baldassare)
È fatta. Donald Trump si è ufficialmente incamminato, anche se per il momento ancora sulla carta, a diventare l'uomo più potente del pianeta. E la cosa suscita non poche apprensioni, sia in patria che all'estero. La vastissima gamma di sfide che attendono il nuovo presidente è a dir poco impressionante, ma non è un segreto per nessuno. Sotto ogni punto di vista, Trump sarà il candidato più impopolare che sia mai stato eletto alla presidenza del Paese.
Anziché sforzarsi di tendere una mano a quegli americani che nutrono un odio viscerale nei suoi confronti, ha preferito dedicarsi anima e corpo a quella parte dell'elettorato bianco, poco avvezzo a votare, che gli ha assicurato, in prima battuta, la candidatura ufficiale repubblicana, e successivamente l'appoggio necessario per approdare alla Casa Bianca. Per i prossimi quattro anni, Donald Trump sarà perseguitato da tutti coloro che ritengono la sua sola presenza fisica nell'Ufficio Ovale addirittura sacrilega, in rapporto ai valori che rappresenta l'America.
Per essere sinceri, anche Hillary Clinton avrebbe dovuto fronteggiare un elettorato ugualmente infuocato e diviso, e forse anche senza il sostegno di un Congresso a lei favorevole. La Clinton peraltro, figura politica già nota, avrebbe rappresentato una forza stabilizzatrice sullo scenario mondiale, mentre Trump non lo è affatto.
E questo spaventa gli alleati, perché Trump ha promesso di fare marcia indietro sugli impegni americani riguardanti la sicurezza mondiale, ha messo in dubbio apertamente e aggressivamente la partecipazione dell' America alla Nato, e ha fatto del protezionismo in questioni commerciali la colonna portante delle sue promesse elettorali al popolo americano.
DONALD TRUMP - MELANIA E IL FIGLIO BARRON
È difficile separare le reali convinzioni dalle millanterie più sfrontate, ma se Donald Trump riuscisse a mettere in porto anche solo la quarta parte dei programmi abbozzati nel corso degli ultimi diciotto mesi, rischierebbe di scatenare mutamenti sismici senza precedenti nella politica globale, come non se ne vedevano dalla caduta dell'Unione Sovietica. E questo ancor prima di prendere in considerazione i divieti per i musulmani e la costruzione di muri, che ovviamente provocherebbero reazioni dall' estero.
melania knauss e trump nel 2002
Ci sono inoltre problematiche strutturali che destano non pochi grattacapi nella politica estera americana, e che precedono di gran lunga l' arrivo di Donald Trump nella stanza dei bottoni. La realtà è che l' influenza internazionale degli Stati Uniti era già in declino prima degli esordi di Trump sulla scena politica. In Medio Oriente, lo scontro tra Arabia Saudita Iran continua ad alimentare focolai di conflitto in diversi paesi.
Ci sono guerre in corso in Iraq, Siria e Yemen. Il calo dei prezzi del petrolio, che si protrae da tempo, pone nuovi intralci ai governi nell’affrontare le criticità interne. Non si capisce bene quale differenza potrebbe fare un presidente americano, di qualunque schieramento politico, in questa regione. E questo, a seconda di come si voglia considerare il nuovo presidente Trump, potrebbe essere una cosa buona, oppure pessima.
L' Europa, l' alleato storico dell' America, e a lei più simile culturalmente, oggi appare indebolita e divisa. Il dramma della Brexit è appena iniziato. Il populismo è in rimonta sulle due sponde dell' Atlantico e in diversi paesi - Italia, Francia e Germania - ci sono spinosi appuntamenti elettorali in programma per il prossimo anno. La crisi dei migranti resta irrisolta. Non c' è consenso su come gestire al meglio i rapporti sempre più complessi con la Russia e la Turchia. E in questi scenari Washington appare del tutto irrilevante.
Gran parte dell' Asia si ritrova oggi sotto l' ombra sempre più lunga della Cina. Prima delle elezioni, i paesi asiatici avevano fatto la scelta strategica di firmare gli accordi di partenariato trans-pacifico (Tpp) proprio per riequilibrare le loro economie contro quella di Pechino. Tuttavia, gli intralci che il Tpp ha incontrato nel suo iter al Congresso potrebbero aver suscitato qualche ripensamento. L' elezione di Donald Trump farà apparire la Cina come la superpotenza economica più stabile e ragionevole alla quale agganciare il carro delle loro economie.
E poi c'è la Russia. Vladimir Putin ha passato gli ultimi diciotto mesi a tentare di indebolire la potenza e l'influenza statunitense a ogni tappa di questo ciclo elettorale - il suo scopo non era tanto determinare l'esito elettorale, quanto sgretolare quel senso di eccezionalità americana che gli Stati Uniti, secondo lui, hanno già ampiamente rinnegato. Agli occhi di molti c'è riuscito, eccome. La buona notizia però è che nel breve periodo un presidente Trump potrebbe contribuire a normalizzare i rapporti con la Russia, smorzando quanto meno i toni ostili dello scontro.
In ultima analisi, le situazioni più critiche che Trump dovrà affrontare all'inizio del suo mandato presidenziale non saranno opera sua. L'atmosfera politica di Washington si è progressivamente avvelenata negli ultimi otto anni e i limiti imposti al potere americano sono diventati sempre più palesi. Trump è arrivato al potere chiamando in causa precisamente queste istanze e vantandosi di essere il solo capace di risolverle.
Speriamo bene, perché adesso questi problemi sono i suoi.