Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Un bambino che non è riuscito nemmeno a finire la prima elementare. Un ragazzo che non ce l’ha fatta a diventare padre. Un padre che non ha potuto accompagnare sua figlia fino all’altare. Ma anche una famiglia che è stata costretta a scappare dalla sua terra, l’allevatore che ha dovuto macellare le sue bestie.
Sono loro i 182 figli d’Italia, figli di Taranto, che lo Stato non avrebbe protetto come avrebbe dovuto, sospetta la Corte dei diritti umani di Strasburgo. L’Italia è finita infatti sotto processo internazionale per la questione Ilva. Ma questa volta non si tratta di soldi, aiuti di Stato e di burocrazia dell’Unione europea.
La Corte di Strasburgo ha invece deciso di aprire un fascicolo accusando il nostro Stato di non aver protetto come dovuto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto e dei comuni vicini dagli effetti negativi delle emissioni dell’Ilva. Le denunce erano state presentate in due tranche da alcuni cittadini tra il 2013 e il 2015.
«I richiedenti — si legge nel documento che Strasburgo ha notificato all’Italia chiedendo risposte — lamentano che lo Stato ha mancato di adottare tutte le misure giuridiche, regolamentari e di informazione della popolazione miranti a proteggere l’ambiente e la loro salute, in particolare alla luce degli elementi risultanti da diversi rapporti, tra cui ”Sentieri” dell’Istituto Superiore della Sanità». «In più — continua il documento — attraverso i decreti salva Ilva, il governo ha autorizzato la continuazione dell’attività della fabbrica».
Lo Stato, quindi, pur sapendo dell’inquinamento non avrebbe bloccato l’impianto. «Richiamandosi agli articoli 2 e 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo, i cittadini — dicono i magistrati di Strasburgo — denunciano che il loro diritto alla vita e alla vita privata sono stati violati. Sulla base dell’articolo 13 della Convenzione, lamentano inoltre di non poter beneficiare di un ricorso efficace per sollevare queste accuse sul piano interno».
Da qui l’apertura del procedimento che ha però molto poco dei burocratici toni ufficiali. In quei 187 nomi e cognomi raccolti nel 2013 dall’associazione Legamjonici (per conto di 52 cittadini) e poi da Lina Ambrogi Melle, consigliere comunale di Taranto, ci sono le storie dei condannati dalla grande industria italiana.
«Abbiamo spiegato con l’avvocato Andrea Saccucci — spiega la Melle — la violazione del diritto alla vita e di rispetto della vita privata e familiare anche in conseguenza dei ripetuti decreti salva Ilva con cui il governo ha mantenuto in funzione l’impianto sotto la propria gestione a dispetto della normativa europea e delle decisioni della magistratura».
«Siamo in presenza — dice il vescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro — di un attacco diretto e formale allo Stato italiano in cui si chiede che venga fatta luce sulla questione in maniera adeguata. Ci si chiede inoltre se in questi anni, dal 2012 ad oggi, siano state portate avanti le bonifiche sul territorio».
La domanda è retorica. Perché molte delle bonifiche promesse, le più importanti (come la copertura dei parchi minerari) non sono state compiute. Mentre altre (come l’ambientalizzazione degli altiforni) sono in corso. Di questo si è discusso anche nella prima udienza del maxiprocesso in corso: 47 imputati, tra questi, i fratelli Fabio e Nicola Riva, l’ex governatore Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, l’ex presidente della Provincia Gianni Florido, l’ex presidente dell’Ilva Bruno Ferrante.
IL VESCOVO DI TARANTO FILIPPO SANTORO CON BERGOGLIO MICHELE EMILIANO E MATTEO RENZI
Ieri in aula, accanto al nuovo procuratore Carlo Maria Capristo, è voluto esserci il governatore, Michele Emiliano. A giorni si definirà invece la questione vendita: in pole position c’è la cordata dei turchi di Edermir, con Arvedi e con il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio, con l’appoggio di Cassa e depositi e prestiti. L’alternativa è l’asse tra gli indiani di Arcelor e Marcegaglia, che si aspettano anche l’aiuto di Cdp.