Lodovico Poletto per “La Stampa”
«Le intercettazioni servono per vedere in profondità, sono come le radiografie in medicina. Toccarle significherebbe ritornare alla medicina del “dica 33”». E ancora: «Il vero problema della giustizia non sono le intercettazioni e la loro pubblicazione, ma la durata di processo. Basta baloccarci con pannicelli caldi. Bisogna intervenire in modo radicale». Ecco qui il pensiero di Gian Carlo Caselli, procuratore di Torino in pensione da pochi mesi, magistrato di primissima fila nella lotta alle Br, procuratore di Palermo dopo l’attentato a Borsellino. Uomo dalle prese di posizione forti e dalle idee chiare, sempre.
Procuratore, secondo lei si pubblicano troppe intercettazioni nel nostro Paese?
«Io penso che tutto ciò che serve al processo deve essere pubblico. Quello che apparentemente può guardare fuori dal seminato in realtà può esser utile per capire il contesto che incide sulle prove».
Renzi ha chiesto ai direttori le loro opinioni. Può essere utile?
«Io credo che non ne uscirà niente che già non si sappia. Sarà confermato ciò che già si conosce: ci sarà chi vuol pubblicare tutto e chi penserà di più alla privacy».
Che cosa intende quando parla di contesto?
«Prendiamo il processo Minotauro con 150 arresti per questioni di mafia, a Torino. C’erano alcuni imputati che cercavano contatti con politici o amministratori. Quando le cose sono emerse, alcuni hanno obiettato che i nomi dei contattati dovevano essere coperti con omissis. Sbagliato: associazione mafiosa non è solo atti criminali, ma anche relazioni esterne. Sono contatti penalmente irrilevanti per il non mafioso. Ma per gli imputati è il contesto che emerge come prova del reato di mafia».
Abusi secondo lei ce ne sono stati?
«Io non ne conosco in base alla mia esperienza».
A cosa serve l’appello di Renzi?
«A fare statistica delle opinioni. A me però sorge un sospetto. Che serva a guadagnare tempo o scaricare responsabilità per scelte difficili».
MATTEO RENZI GIOCA A CALCIO Intercettazioni
Condivide la strada?
«Spetta soltanto alla politica scegliere la strada. Si vuole interpellare? Va bene. Ma bisogna partire da un’ipotesi concreta e le scelte si fanno ragionando su questo. Il generico “parliamone” è roba da salotto».
Come si può accorciare in modo sensibile la durata del processo?
«Abolendo il giudizio d’Appello».
E il vantaggio quale sarebbe?
«Oggi abbiamo un arretrato di 9 milioni di processi (tra penale e civile) e dobbiamo cancellarlo. Se si eliminano il giudizio di Appello e concentriamo le forze sull’arretrato ce la facciamo. E poi queste forze potranno essere riversate sul primo grado».
Un scelta forte, non c’è dubbio
«Guardi: è decisivo il numero di gradi di giudizio. Solo in Italia ce ne sono tre con il sistema accusatorio».
MATTEO RENZI IN CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI FOTO LAPRESSE
Opinione diffusa?
«È minoritaria. E urta infinite suscettibilità. Ma serve coraggio di andare controtendenza per cambiare. La riforma della giustizia deve partire da questo: tempi del processo»
Torniamo alle intercettazioni: non se ne sono usate troppe in questi anni?
«Le dico un dato: dal 2008 al 2013, a Torino, su tutti procedimenti trattati, l’incidenza delle intercettazioni telefoniche o ambientali è stata dello 0,239 per cento. E i costi, per merito del nostro personale amministrativo, sono stati abbattuti del 200%».
E niente bavaglio all’informazione?
«Le intercettazioni vengono adoperate soprattutto per casi di corruzione e collusioni tra mafia e pezzi mondo legale: politica, economia o istituzioni. In Italia c’è un livello di politica e malaffare che ci mette in posizione anomala in Europa. Finché dura questo stato di cose bisogna pensarci un miliardo di volte prima di mettere un bavaglio all’informazione».