Estratto dell'articolo di Giovanni Sallusti per www.liberoquotidiano.it
Contro ogni pronostico, l’idea si è rivelata eccessiva anche per il consolidato masochismo del Pd. Una perversione politica ben radicata in Largo del Nazareno, basti pensare che si sono fatti scegliere il segretario del partito dai non iscritti al partito. Ma il Magnifico rettore Tomaso Montanari (quello a cui manca sempre una “m” decisiva, come da insuperata sintesi di Giuliano Ferrara) sindaco di Firenze no, era troppo anche per l’Armata Rotta schleiniana. E dire che il professore che ama presentarsi civettuolo come “cattolico radicale”, anche se pare piuttosto un gruppettaro uscito da un film minore di Nanni Moretti, è anni che ci lavora.
Negli intenti, il rettorato dell’Università per Stranieri di Siena doveva essere il penultimo scalino, quello prima di Palazzo Vecchio. L’idea piace parecchio a Giuseppe Conte, uno che conosce Firenze forse perfino meno della politica. O dovremmo dire “piaceva”.
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Anzitutto, al mattino esce sul Corriere la più letale delle forme di stroncatura, il ritratto fintamente empatico, ad opera di uno specialista del genere: Fabrizio Roncone. “Stropicciato, piacione e frasi cult. Il prof. in bilico tra La Pira e Marx”. Non era un titolo, era un segnale per i mandarini del Pd fiorentino e toscano (Elly gira la faccia, Elly lascia fare e peccato, le sarebbe piaciuto tanto): è il momento di assestare la coltellata. Peggio ci siamo sentiti, per lui, quando abbiamo visto che il suo Ego, più ancora velleitario che ipertrofico, ci era cascato a piè pari, aveva rilasciato dei virgolettati a Roncone, che è come giocare a poker bendati. «Preferirei non dire nulla», e il condizionale è il segno che non vede l’ora di spiattellare tutto, l’altro lo sa, e ottiene tutto.
«Io penso sarebbe importante, anzi fondamentale che ci fosse una convergenza tra Pd e 5 Stelle e una certa sinistra non su un nome, su un volto, per quanto mediatico, ma su una visione della società, su un progetto politico preciso e nuovo». Gioco, partita, incontro. I cecchini possono uscire dalla tana, con calma, nel pomeriggio, impallinandolo col suo stesso linguaggio.
Emiliano Fossi, segretario toscano del Pd: «Ha ragione Montanari quando dice che sul Pd e sulle forze progressiste c’è la responsabilità grande di costruire una colazione per Firenze attorno a un’idea di città e di sviluppo». Ha ragione, proprio per quello è spacciato: «Ecco perché stiamo lavorando in primis sul programma e sulla coalizione che vogliamo sia ampia e vincente, capace di rappresentare un’alternativa solida alla destra».
Montanari non garantisce alcuna coalizione “ampia”, è indigesto a larghi strati del Pd riformista e dell’establishment borghese fiorentino (le due cose peraltro tendono a coincidere), per non parlare di Matteo Renzi, che da quelle parti sarebbe meglio tenere dentro. Il tapino del resto aveva cominciato ad intuire l’aria che tira (non nel senso del talk show, per una volta), e si era già sfilato su X: «Un’intera pagina del Corrierone per esorcizzare una mia candidatura a sindaco: niente panico, simpatici amici, il mio mandato di rettore scade nel 2027!».
Poi, in serata arriva l’amico più simpatico di tutti, Dario Nardella, che peraltro in passato ha querelato il ciarliero prof per il seguente, equilibrato giudizio: «Firenze è una città in svendita, e gli amministratori di Firenze sono al servizio di capitali stranieri». Una sorta di rigurgito sovranista in salsa gauchista, forse Montanari stava già strizzando l’occhio ai potenziali elettori di destra.
In ogni caso, Nardella evidentemente non se l’era legata al dito: «Non partecipo al totonomi. Prendo atto che lo stesso Montanari ha escluso questa ipotesi. Non so chi l’abbia avanzata, sinceramente. Resta il fatto che noi -il Pd, ndr- come forza principale della città abbiamo l’onere di indicare una proposta di candidatura e di programma». Montanari si è autoescluso, la candidatura spetta al Pd: un uno-due micidiale. E Tomaso Montanari resta lì, con la testa che ronza e la sensazione di non aver neanche capito da dove sono arrivati i colpi, disperatamente appeso a quella “m” che non c’è, e non ci sarà mai.