“LA MELONI SUL MES HA FATTO QUELLO CHE HO DETTO IO. E, PRIMA O POI, TORNEREMO PURE ALLA LIRA!” – IL LEGHISTA CLAUDIO BORGHI GONGOLA DOPO LA BOCCIATURA DEL FONDO SALVA STATI – A SALVINI CHIEDE: “COME SONO ANDATO?” DALLA GUIDA DEGLI EUROSCETTICI  ALLA BATTAGLIA NO VAX: L’EX BROKER CHE VOLEVA RIFILARE AGLI ITALIANI I MINI-BOT, PEZZACCI DI CARTA PER PAGARE CREDITI O SALDARE I DEBITI DELLO STATO, FECE UN BEL PO’ DI SOLDI SPECULANDO SUI TRADIZIONALI BTP. LA SUA SPECIALITA’ E’ LA CAPRIOLA. COME CON DRAGHI QUANDO… – IL RITRATTONE BY RONCONE

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Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera - Estratti

 

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È il personaggio politico di queste ore. Sghignazza, se la gode, se la tira, pontifica sfrontato.

(«La Meloni? La Meloni, sul Mes, ha fatto quello che ho detto io»).

Venga una attimo qui, senatore Borghi.

«Trallalero… Trallalà!». Non faccia così. «E, prima o poi, torneremo pure alla lira!».

 

Provoca e saltella sui sampietrini di via degli Uffici del Vicario, la stradina che collega Montecitorio a queste pagine intere, ai titoli cubitali, dentro l’euforia chiassosa del suo partito, la Lega, che con il voto dell’altro giorno ha aperto, ufficialmente, trionfalmente, la campagna elettorale per le Europee: una festa nella quale sta scomodo — come ormai si sa — solo Giancarlo Giorgetti, il ministro mortificato, ferito, preoccupato (perché Giorgetti sa leggere bene, in controluce, la gravità del commento arrivato dal presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe — «Deplorevole aver bocciato il Mes» — e tenete conto che questa frase è poi davvero niente, rispetto allo stupore e allo sdegno degli alleati francesi e tedeschi e all’irritazione di chi governa i mercati).

 

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Ma Claudio Borghi se ne frega di tutto e di tutti. E va ad abbracciare il capo: Matteo Salvini. «Come sono andato?».

 

(...)

Però l’istinto gli suggerisce di rispondere. Sente una voce: «Ciao, sono Matteo… Matteo Salvini. Disturbo?». Nemmeno a dirlo. «Bene. Perché, ecco, volevo chiederti una cosa: hai voglia di spiegarmi queste tue strane idee sull’euro?» .

 

La mattina dopo, solerte, Borghi gli tiene una lezioncina. Il Capitano decide di pancia (in senso lato): butta nel cestino il suo precedente libro guida, Il sacco del Nord di Luca Ricolfi, e inizia a leggere la bibbia degli euroscettici: Il tramonto dell’euro di Alberto Bagnai (su Bagnai ci soffermeremo meglio tra qualche paragrafo: ma preparatevi, perché merita).

 

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Tornando a Borghi: Salvini lo prende sul serio e, all’inizio, anche noi cronisti. Il trucco dello sguardo, per un po’, ha funzionato: bravissimo a metterne su sempre uno molto convinto, definitivo, con l’aria di chi sta lì a spiegarti segreti e meccanismi che, poverino, tu fatichi a capire. Poi un giorno abbiamo capito che lui, proprio lui che voleva rifilare agli italiani i mini-bot, pezzacci di carta per pagare crediti o saldare i debiti dello Stato, proprio lui aveva invece fatto un bel po’ di soldi speculando sui tradizionali Btp (nell’agosto del 2019, sfruttando la scommessa sbagliata del suo Capitano che sperava di andare a elezioni anticipate, vendette i titoli di Stato acquistati un anno prima).

 

Un furbacchione di 53 anni con la parlantina del furbacchione: ex fattorino, ex agente di cambio, ex broker, ex agente della Deutsche Bank, ex docente a contratto di Economia e mercato dell’arte all’Università Cattolica e, per hobby, a sua volta mercante d’arte (ma non andate a dirlo a Vittorio Sgarbi, che s’innervosisce di brutto).

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Con il Carroccio si candida, una prima volta, alle Europee del 2014: però viene trombato.

Tre anni dopo, invece, s’accontenta e riesce ad essere eletto nel consiglio comunale di Como. Poi, finalmente, eccolo sbarcare a Montecitorio con il suo mantra: «Dobbiamo uscire dall’euro».

 

Una posizione che lo rende politicamente assai visibile, una ghiottoneria per gli autori dei talk tv, che non se lo fanno sfuggire nemmeno durante la tragica stagione no vax, in cui Borghi s’accoda a certi esaltati mattacchioni, gente che voleva curare il coronavirus con un po’ di liquirizia e qualche fetta di zenzero, e ad altri leghisti come Armando Siri e Simone Pillon, il quale, ad un certo punto, s’era convinto che nelle scuole di Brescia s’insegnasse «la stregoneria».

 

Sugli appunti raccolti negli anni, c’è scritto: la grande specialità di Borghi è la capriola.

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Nel genere, un gigante. Per dire: il pomeriggio del 5 febbraio di due anni fa (Mario Draghi, da poche ore, aveva ricevuto l’incarico di guidare il nuovo governo), Borghi uscì dal Parlamento, finendo nel mischione di noi cronisti in attesa, che subito gli andammo sotto, chiedendogli: e adesso? Lui allora ci guardò come sempre un po’ sprezzante, che idioti questi giornalisti, che noia le loro domande. E rispose fingendosi sorpreso: «Che succede, scusate, in che senso? Draghi è come Ronaldo, un fuoriclasse».

 

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Poi si voltò e cercò la complicità del suo amico Alberto Bagnai (spesso, sui giornali, finiscono citati come B&B), da cui aveva ereditato la responsabilità del dipartimento economico della Lega. Questo Bagnai è un modesto suonatore di clavicembalo (non è una battuta), i pantaloni sempre con la riga e la faccia mite

 

(...)

 

Però davanti a Draghi premier, quel giorno, Bagnai si spaventò: «Draghi? Ma io Draghi l’ho sempre stimato…» . Entrambi sono leoncini di X (ex Twitter). Si esaltano. Si spalleggiano. Si ritwittano. E, probabilmente, faranno briciole di questo articolo, e di chi l’ha scritto (se succede, tranquilli: non vi blocco) .

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