Fabio Martini per "La Stampa"
MATTEO RENZI E GIUSEPPE CONTE COME LUKAKU E IBRA
Si è fatta sera, sta per finire una giornata di tatticismi esasperati e di passioni fredde, eppure Matteo Renzi è rilassatissimo, convinto di essersi posizionato nel modo migliore in vista del d-day, martedì 2 febbraio, festa della Candelora.
Dice a La Stampa: «Io sono disponibile a fare un accordo. Ho promesso al Presidente della Repubblica che avrei fatto di tutto per farlo. Ma Pd e i Cinque stelle sono restati arroccati. Voglio sperare che abbiano esaurito tutto il loro tatticismo in vista della giornata decisiva. Non vogliono neppure un documento scritto. E invece ci vuole, serve al Paese, una forte discontinuità col governo precedente».
renzi mejo dello sciamano di washington
Renzi si ferma e sintetizza: «Ma vi sembra che abbiamo fatto tutto sto' casino per mettere uno dei nostri in questo o quel ministero? Nessuno capirebbe se questa vicenda si concludesse con un Conte bis-bis»
Per tutta la giornata Matteo Renzi ha teleguidato le operazioni dal suo smartphone: una telefonata a Dario Franceschini, capo-sherpa del Pd e subito dopo un messaggio a Maria Elena Boschi seduta al tavolo di Fico e poi ancora, un messaggio su whatsapp a Luigi Di Maio e uno a Davide Faraone, anche lui rinchiuso a Montecitorio, a trattare con gli altri partiti.
ROBERTO FICO AKA MANUEL FANTONI
Renzi, con i leader ha trattato la cornice politica «indispensabile» per il Conte ter: discontinuità nei programmi, nei ministri e come premessa un documento di intenti chiaro nei dettagli e vincolante per il presidente del Consiglio. Ma proprio sul documento Renzi ha capito che i capi-partito non ci stavano: «Cinque stelle e Pd resistono: temono che si mettano nero su bianco punti che aprono contraddizioni al loro interno. Per ora sono chiusi anche su temi sui quali mi aspettavo aperture. Come la giustizia: nulla. Mi ha sorpreso».
E d'altra parte se è vero che l'apertura della crisi è parsa motivata ma pretestuosa alla grande maggioranza degli italiani, nell'ultima settimana l'isolamento di Renzi si è capovolto in un fenomeno sotto gli occhi di tutti: è il capo di Italia Viva a dettare il gioco. Per questo Renzi sa che non può permettersi un pareggio.
mario draghi al meeting di rimini 1
E per vincere deve incassare e questo significa due cose: se Conte ter deve essere, non può essere la fotocopia del precedente. E se invece i partiti che vogliono Conte, non sono in grado di dargli una mano, a quel punto Renzi punterà su un esecutivo Draghi, un'operazione di respiro nazionale ed internazionale, che però deve trovare una maggioranza. E qui, per ora, casca l'asino.
Nei giorni scorsi Renzi ha tenuto canali aperti e continui per capire i margini di un «Draghi tecnico-politico», capace di prendere la fiducia di Cinque stelle (a quel punto con scissione), Pd, Leu e Forza Italia e un'astensione della Lega.
NICOLA ZINGARETTI ROBERTO FICO
Più facile a dirsi che a farsi, anche perché pure ieri dal centro-destra i messaggi informali a Renzi sono stati chiari: prima cade Conte, poi ne parliamo. Ieri mattina le indicazioni del capo ai suoi che si stavano incamminando verso il tavolo di Fico a Montecitorio erano state queste: nella riunione mettete in fila gli argomenti di dissenso, lasciando intendere che si può rompere, in un'escalation che sarà utile per alzare il prezzo in vista di accordo o rottura.
Naturalmente la trattativa corre anche sui ministeri. Renzi chiede, per coerenza col suo programma, il ministero delle Infrastrutture, ma non si ritrova nella pretesa di tagliar teste, che non appartengono alla sua "disponibilità", come quella del titolare dell'Economia Roberto Gualtieri. O quella dell'ambasciatore Pietro Benassi come autorità delegata ai Servizi. Anche se su questo fronte trapela un'indiscrezione: Benassi non avrebbe ancora sottoscritto la nomina.
Matteo Bolle MATTEO RENZI E GIUSEPPE CONTE COME BUGO E MORGAN ROBERTO FICO L ESPLORATORE RENZI CONTE