Eleonora Barbieri per “il Giornale”
Francis Fukuyama, politologo, allievo di Samuel Huntington, Senior Fellow all' Università di Stanford, è lo studioso americano celebre per avere predetto, prima in un articolo (nel 1989) e poi in un saggio (nel 1992) La fine della storia (titolo per esteso: La fine della storia e l'ultimo uomo, in Italia edito da Rizzoli). Ora, siccome la sua profezia non si è avverata proprio con precisione, trent'anni dopo dedica un nuovo saggio a una delle questioni che ha fatto esplodere quella «pace mondiale» che avrebbe dovuto essere garantita dalla diffusione delle democrazie liberali, dopo la caduta del Muro di Berlino: ovvero l'Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi (Utet, pagg. 236, euro 19).
Professor Fukuyama, perché proprio adesso ha deciso di occuparsi di identità?
«L'ascesa dei populismi di destra, soprattutto nel contesto del voto della Brexit e dell'elezione di Trump, mi pare sia una minaccia alla democrazia di tutto il mondo occidentale. Molti però fraintendono le origini del fenomeno: danno troppo peso alle motivazioni economiche anziché alla dimensione culturale, ovvero alla minaccia che viene percepita nei confronti della propria identità».
Ma l'identità non è certo una questione nuova...
«Penso che sia tornata in auge per via dei cambiamenti economici che hanno minacciato e minacciano lo status di molti appartenenti alla classe media. E poi ci sono stati tanti fenomeni migratori, che portano a cambiamenti sociali rapidi: questo spaventa le persone, che hanno paura di perdere la loro identità nazionale».
Che cos'è la «deriva identitaria» di cui parla?
«Il problema è che le persone pensano a sé come a piccoli gruppi. A sinistra abbiamo le donne, le minoranze etniche, i gay, le lesbiche...; a destra questo si esprime attraverso il nazionalismo etnico, in cui le persone vogliono proteggere il carattere etnico, nazionale della loro società, anche con riferimenti alla religione e ai valori conservatori. Il risultato è la polarizzazione di molte società. E il disagio delle élite delle nostre società».
La sinistra ha difeso per decenni il multiculturalismo.
«Il problema è che a sinistra non amano l'idea di identità nazionale. Pensano che la nazione sia fuori moda, la associano al fascismo e preferiscono un approccio da coscienza globale, in cui i diritti umani appartengono a tutti e non alla nazione. Molti degli elettori invece credono ancora nel concetto di nazione e vogliono essere parte di una comunità nazionale».
Il multiculturalismo è fallito?
donald trump vince le elezioni
«Le nostre società sono in gran parte multiculturali. Ma c'è una visione del multiculturalismo per cui è necessario rispettare tutti i gruppi allo stesso modo...»
Invece?
«Per me la democrazia ha una sua cultura, i suoi valori: non si può trattare come una delle tante culture, come se fossero tutte sullo stesso piano. Un esempio sono le discussioni sul ruolo delle donne nelle comunità musulmane di immigrati: in questi casi, le norme culturali non aderiscono a quelle della democrazia liberale. Se il multiculturalismo viene interpretato così, allora sorgono i problemi, perché i principi democratici vengono indeboliti».
Qual è il legame fra identità nazionale e democrazia?
«Qualunque democrazia deve essere costituita intorno a una comunità nazionale, che creda in valori, istituzioni, una costituzione, uno Stato di diritto e in cui ci sia fiducia fra i cittadini. L' identità nazionale è fondamentale per creare questa comunità nazionale e democratica».
Quest'identità è minacciata?
«In due modi. A destra, da chi la definisce solo in termini etnici o religiosi, escludendo una parte della popolazione; a sinistra, dalle persone che non credono che la nazione sia una categoria fondamentale in sé».
Ha parlato dei flussi migratori: che rapporto hanno con la questione dell' identità?
«L' immigrazione viene percepita come una grossa minaccia all' identità nazionale.
Penso sia importante distinguere chi critica il sistema per motivi razzisti da coloro che vedono il problema nella mancanza di controllo dei flussi, da parte dello Stato e dell'Europa, nella incapacità di governare il fenomeno e, quindi, nel fatto che, con livelli così alti di immigrazione, i nuovi venuti non possano integrarsi nella società europea».
Un' identità europea potrebbe esistere?
«Era la speranza iniziale dei fondatori dell' Unione europea. Il problema è che c' è un eccesso di eterogeneità in Europa, e poi quest' ultima non ha neanche gli strumenti e l' autorità per creare una nuova identità nazionale».
Come si riconciliano tutte queste conflittualità con la «fine della storia»?
«Viviamo in un periodo molto diverso dal 1989. In questi trent'anni, la democrazia effettivamente si è espansa: si è passati da 35 a 120 paesi democratici. Negli ultimi dieci anni, però, c'è stata una inversione di tendenza: ci sono Paesi molto autoritari, e rivolte populiste in Paesi democratici. La direzione in cui ci muoviamo è cambiata. Non sappiamo se sia un cambiamento permanente o solo una correzione del mercato, ma credo non ci siano molte alternative che possano soppiantare le democrazie liberali come forma di governo».
Crede davvero che il populismo sia una minaccia alla democrazia?
«Non alla democrazia in realtà, ma alle sue componenti liberali: la Costituzione, lo Stato di diritto, i media».
Non è che negli ultimi anni la questione dell' identità è stata trascurata, e ora è riesplosa sotto gli occhi di tutti?
«Sicuramente abbiamo attraversato un periodo di globalizzazione e di creazione di istituzioni internazionali liberali, in cui le nazioni sono state sorpassate da altre entità. L' Unione europea illustra perfettamente questo caso. Oggi vediamo una sorta di reazione a questo tipo di apertura, anche economica e dei confini».
Ma lei stesso non ha trascurato il ruolo dell' identità e della religione, quando ha predetto la fine della storia?
«Non sono d' accordo. Negli ultimi capitolo parlavo del thymos, un concetto greco traducibile come orgoglio, rabbia anche; e dicevo che, se collegato al nazionalismo e alla religione, può minacciare le democrazie liberali».
È d' accordo con Huntington sullo scontro di culture?
«Non ho mai apprezzato particolarmente questa teoria: mi pare che i conflitti riguardino più i gruppi culturali al loro interno. Per esempio, non esiste una cultura unica asiatica, o occidentale. Però Huntington ha ragione quando parla della comunità islamica, come civiltà unica».
Perché dice che «la democrazia liberale non è mai all' altezza»?
«La democrazia liberale promette a tutti lo stesso genere di rispetto, garantendo uguali diritti, così che tutti siano sullo stesso piano. Ma nessuno, in realtà, si sente davvero rispettato allo stesso modo degli altri. Anche perché alcuni vogliono essere riconosciuti per qualcos' altro».
Esigenze così diverse si possono conciliare?
«Penso che quello che si possa fare sia dare un livello minimo di rispetto per tutti, in quanto cittadini. Il problema è che le persone vogliono essere riconosciute come migliori rispetto agli altri: e questo non si può dare a tutti...»
E quindi?
«Bisogna cercare di contenere i conflitti. Ma è difficile. Molte eccellenze dell'umanità derivano proprio dal desiderio di essere riconosciuti come superiori... In realtà, non possiamo vivere in un mondo in cui tutti si sentano rispettati allo stesso modo».