Francesco Battistini per il Corriere della Sera
Miii, i braciuleddi! «Ma io li so fa', questi! Quand'ero bambina, me l'ha insegnati mio nonno». Giorgia Meloni arranca nella calca di Vascone: la Sorella d'Italia sarà anche una che spaventa i mercati, ma non qui. I banchettisti di Messina la pressano, la stringono. Le baciano la mano e le stappano in faccia una bottiglia di Ferrari. Le piazzano in braccio un alalunga da tre chili («non posso girare con la puzza di pesce, però: c'è un lavandino con del sapone?») e le gridano «Viva la prossima premier!». Lei sa come si fa. Ammira le pesche di vigna e i tombarelli, le lumache di Catanzaro e le pagnotte di tumminia. Afferra due meloni, e la foto è scontata. Poi di colpo sterza sul macellaio, «ammazza che bella carne!», ed è allora che le vede. Le sue madeleine. Le braciole alla messinese. Quelle del nonno, «l'unico vero padre che ho avuto, un siciliano tutto d'un pezzo, ho sempre immaginato che Messina dovesse essere uguale a lui».
I braciuleddi come li faceva lui, cari voi: si possono comprare? In Sicilia i desideri dell'ospite sono ordini, specie se trattasi del nuovo potere che avanza, e due ore dopo eccola accontentata. Al raffinato Circolo del tennis. Dove si ritrova al tavolo, toh, Matteo Salvini. E nel piatto le braciole, proprio quelle. Giorgia un po' se l'aspettava, un po' lo voleva. E alla fine molla: tovaglia bianca, bandiera bianca, «noi siamo una squadra sola». E in fondo questo piatto di braciole è solo un assaggino della scorpacciata elettorale che sarà. Forza: accomodiamoci accomodanti, avvolgiamoci come involtini - «facciamoci una foto, Matteo», «ma certo Giorgia» -, stretti sullo Stretto e crepi chi ci vuol male. Loro due, e dietro il mare. Lei: «Questa foto è la migliore risposta alla sinistra che ci vuole divisi». Lui: «In dieci minuti non possiamo parlare dello scibile umano, ma possiamo abbracciarci».
Clic. Messina, o cara. Dieci minuti di chiacchiere siciliane non ne faranno uno storico Patto della Cassata. Però sono le braciole a darci il titolo: sotto la cenere, la brace.
Vicini e lontanissimi, G&M.
Tre chilometri di lungomare, a parlare separati nello stesso mezzogiorno infuocato, paralleli e distanti. Troppo rivali e diversi, per amarsi davvero: lei nel casino dei pesciaroli, senza nemmeno uno straccio di manifesto, inesistente il cordone di sicurezza; lui alla Marina del Nettuno dove s' entra solo se si ha la barca al molo, sotto un candido tendone coi palloncini «Credo» gialli e blu, i fan in ordinata fila a chiedere selfie uno ad uno. «Salvini - lo ammira garbato Angelo Signore, cattedratico in pensione -, so che si è laureato col professor Sapelli, me lo saluta?».
«Glielo saluto volentieri, ma io non mi sono mai laureato: mi mancano tre esami». Gli chiedono di questi strani comizi in contemporanea, lui e lei che s' inseguono negli stessi istanti dalle Marche alla Puglia, e adesso in Sicilia: «Meglio venire qui in due, nello stesso posto e nella stessa ora, che non esserci affatto». Trovano un tema berlusconiano e condiviso che da queste parti è buono per tutte le stagioni, il Ponte sullo Stretto: «La nostra è una civiltà che duemila anni fa costruiva i ponti in dieci giorni - dice lei -, non capisco perché ora ci mettono diecimila anni». Un altro argomento, gli sbarchi, dove le posizioni sono diverse eppure si può far credere che vada tutto ben: «La Sicilia non merita di finire sui giornali di tutto il mondo come un campo profughi», dice lui, e l'applauso è facile.
Sorrisi e tenzoni: c'è il candidato alla Regione, Renato Schifani, che Giorgia ha digerito col Maalox («Nello Musumeci sarebbe stato da ricandidare») e però serve a Salvini per evitare un ko pesante. «Penso che un po' di sana competizione sia giusta - ammette Antonio Catalfamo, deputato leghista a Palazzo dei Normanni - e che male c'è se loro due sono scesi a competere fino in Sicilia?». «Ma no, noi siamo molto uniti - chiosa Elvira Amata, capogruppo di FdI in Regione -. Per esempio, uniti a chiedere che Roma la smetta di dare il 70 per cento delle risorse al Nord, lasciandoci le briciole».
Sullo sfondo di questo lunedì di sfida, quasi mai nominato, ecco infine il fattore C: come Cateno De Luca, il supersindaco commissariato, che a Messina comanda i voti. Un nemico comune. Pure lui candidato alla Regione: «Quei due non vengono qui a combattersi fra loro, vengono qui a combattere me!». Unchained De Luca, come sempre: «Li ho inchiodati a percentuali ridicole! E adesso che fanno? La Meloni mette in lista il suo commercialista, Salvini paracaduta candidati lombardi, Berlusconi la sua ventottesima moglie, il Pd manda la Furlan, Conte si presenta di persona Bello. Ma alla Sicilia chi pensa davvero? Siamo diventati l'orinatoio dei partiti!». Ma almeno si riparla del Ponte: non è contento? «Mi sta prendendo in giro?» .