Federico Novella per “la Verità”
leonardo tricarico foto di bacco (2)
«La Nato? Va rifondata, dobbiamo contare di più. Il conflitto potrebbe prolungarsi, e rischiamo di tramutare l'Ucraina nella Somalia d'Europa». Il generale Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica, lo dice senza retorica: «Europa e Stati Uniti combattono per ragioni diverse».
Quasi come fossero due guerre parallele?
«Toglierei il "quasi". È sicuramente così. L'Europa arma l'Ucraina perché resista all'invasione, mentre le motivazioni di Stati Uniti e Gran Bretagna sono differenti».
E quali sarebbero?
«Quei Paesi conducono una guerra sotto il profilo personale. Questi signori vogliono vedere Putin nella polvere, per loro questo scenario rappresenta la soluzione finale. Ma i risultati raggiunti sul terreno sono stati giustificati insoddisfacenti ai fini dell'annientamento del leader russo. Per questo manca una spinta seria al negoziato».
vladimir putin volodymyr zelensky
Non vede la reale volontà di intavolare vere trattative?
«Il negoziato, iniziato in maniera improbabile, è stentato, portato avanti da soggetti senza reale mandato per trattare. È vero che la Turchia si è ritagliata una posizione più strutturata: ma non può pensare, da sola, di far da mediatore. Se le potenze rivali sono di una certa caratura, chi negozia deve avere un peso superiore o perlomeno equivalente».
volodymyr zelensky e vladimir putin 3
E dunque la guerra potrebbe allungarsi indefinitamente, fino al caos permanente in Europa?
«L'Ucraina rischia di diventare la Somalia d'Europa, c'è questa possibilità. Anche perché gli ucraini stanno resistendo orgogliosamente, e non so quanto siano disposti a sedersi al tavolo negoziale, oggi che gli equilibri militari si vanno ristabilendo a favore di Davide contro Golia. Putin si trova di fronte a una risposta del tutto inattesa: il suo esercito si sta trascinando, ed è logoro sia logisticamente sia psicologicamente».
Quindi paradossalmente l'aiuto militare all'Ucraina, che pure lei giudica doveroso, rischia di prolungare il conflitto?
«Temo di sì».
Sta dicendo che la Nato, viste le attuali condizioni sul campo, non vuole la pace?
«Sono decenni che si scrive Nato ma si legge Stati Uniti. Non è un mistero che l'organizzazione atlantica subisca al 100 per cento il condizionamento americano. Rispetto agli interventi in Kosovo e in Libia, percepisco stavolta una certa codardia di fondo. Non si capisce quanto l'alleanza sia disposta a tollerare le prepotenze russe. Di conseguenza, ci limitiamo a fare il tifo e a scaldare i muscoli».
Come si spiega l'attacco russo?
«L'invasione non ha giustificazione, ma credo sia giusto cercare di comprendere le motivazioni storiche dietro il comportamento di Putin. Da parte sua, c'è stato come un fallo di reazione».
In che senso?
«A torto o a ragione, la Russia considera l'Ucraina un Paese speciale, per via della componente russofona. Ricordiamoci che Kiev aveva completato la fase preliminare in vista dell'ingresso nella Nato, e permetterle di arrivare fino a quel punto è stato certamente l'errore più grande».
Come avremmo dovuto rapportarci ai desiderata di Kiev?
«L'Occidente avrebbe dovuto mettere un veto. Putin aveva sempre percepito l'eventualità di un'Ucraina nella Nato come una minaccia alla sicurezza nazionale russa. Gli Stati Uniti hanno continuato a caldeggiarne l'ingresso nell'organizzazione: è stata benzina sul fuoco».
E Vladimir Putin?
«E Vladimir Putin, diciamo così, è caduto nella trappola. A far da moltiplicatore dell'irritazione russa, il fatto che le forze armate ucraine siano state addestrate, negli anni, secondo i più alti standard, con l'aiuto dei più grandi strateghi militari occidentali».
Insomma, pensa davvero che la Nato si sia mossa in maniera miope?
«La Nato è rimasta volutamente concentrata sul fronte Est. In ogni esercitazione militare, periodica, si è insistito su quel fronte, sulla base di scenari che prevedevano un confronto con la Russia. Avremmo dovuto gettare lo sguardo anche a Sud, come chiesto più volte anche dall'Italia».
Intende sul fronte africano?
«È in quelle terre che cambierà il mondo. In quei territori sta accadendo ogni genere di nefandezza. Oltre al terrorismo, stanno mettendo radici altri Paesi che rappresentano una minaccia per la tutela dei nostri interessi».
Insomma ritiene che la Nato abbisogni di una revisione?
«Va ripensata e rifondata. Il presidente francese Emmanuel Macron parlava di "morte celebrale", Donald Trump di "struttura obsoleta". Avevano tutti ragione, ma nessuno poi ha tratto le dovute conseguenze».
Quali pensa siano i passi necessari?
«L'unica strada è la costruzione di una vera difesa comune europea. Io ci credo davvero.
Parlo di un'organizzazione robusta che non sia alternativa alla Nato, ma integrata in essa».
Allo scopo di avere più voce in capitolo sulle scelte strategiche?
«Sì, e per farlo dobbiamo prima di tutto rispettare gli impegni assunti sulle spese militari.
Insomma, dobbiamo pagare l'affitto».
L'affitto, generale?
«Sì, altrimenti nel condominio atlantico l'azionista di maggioranza continuerà a dettar legge sull'utilizzo delle aeree comuni. Una volta pagata la pigione, nelle riunioni condominiali potremo cominciare a far valere le nostre ragioni. Depotenziando questo abuso di posizione dominante degli Usa, che ormai si è cristallizzato nel sistema».
Insomma, è inevitabile allinearsi sul 2% del Pil per le spese militari?
«Sì, purché si vada nella direzione di una vera struttura europea. All'inizio costerà molto, ma nel lungo periodo questa scelta si tramuterà in un guadagno per la nostra sicurezza».
Dunque Giuseppe Conte, che chiede meno carri armati e più aiuti in bolletta, sta prendendo un abbaglio?
«Conte è l'emblema di come la sicurezza nazionale sta diventando ostaggio della rissa politica. Occorre sensibilità nei confronti di questi temi, e purtroppo vedo molta gente impreparata e inadatta a ricoprire certi ruoli».
Si fatica a comprendere i meccanismi di finanziamento delle forze armate?
«Il bilancio della difesa è strutturato in modo che le disponibilità siano costanti nel tempo. Tutti i programmi sono pluriennali e multinazionali: vale per gli armamenti, ma anche per arruolamento di nuovo personale. Ma ripeto, manca sensibilità: basti pensare alla minaccia galoppante del crimine informatico, contro la quale fino a poco tempo fa non avevamo alcuna difesa da contrapporre».
A proposito di sensibilità per la sicurezza: che ne pensa dell'operazione «From Russia with love»? Nel peggiore momento della pandemia, un contingente russo scorrazza per il Paese con l'assenso dei vertici politici italiani. Volevano solo dare una mano?
«Non ricoprivo cariche istituzionali, ma so come funzionano queste cose. L'interesse dei russi, come fosse un riflesso condizionato, è quello di carpire informazioni ovunque se ne presenti occasione».
edificio della croce rossa bombardato dai russi a mariupol 5
Insomma fu spionaggio?
«Sicuramente, anche se non saprei dire se i russi sono stati messi effettivamente nelle condizioni di finalizzare il tentativo. Certamente gli addetti ai lavori sanno che una presenza di quel tipo in Italia dev' essere monitorata con molta attenzione».
E noi abbiamo aperto alle porte a forze ostili?
«Non voglio rimproverare troppo i vertici politici: ci trovavamo in un momento di massima emergenza: se il diavolo avesse bussato alla nostra porta, gli avremmo aperto».
Le diplomazie hanno inserito l'Italia nel comitato di garanti per la sicurezza dell'Ucraina, United for peace. Ma i contenuti di queste garanzie sembrano ancora incerti.
«Al posto dei leader ucraini io non mi fiderei più di niente e di nessuno, men che meno di garanzie scritte che potranno facilmente diventare carta straccia. Nel 1994 a Budapest assicurarono per iscritto all'Ucraina la protezione dell'integrità territoriale. Uno dei firmatari, la Russia, ha invaso. Un altro, gli Stati Uniti, si è voltato dall'altra parte. E i firmatari restanti? Fanno finta di non vedere».
Davvero pensa che non possano essere sottoscritte garanzie per Kiev?
«La vera garanzia è l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione Europea con una difesa comune. Mi aspetto una regola chiara che imponga aiuto reciproco. Una regola che spero sia migliore dell'articolo 5 del trattato atlantico. In prospettiva è questa l'unica soluzione, che tutti dobbiamo sforzarci di realizzare, se vogliamo davvero il bene del popolo ucraino».