1 - IL «DRAGHICIDIO» FIRMATO CONTE «SIAMO SCEMI»
Domenico Di Sanzo per “il Giornale”
GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI MEME
Voleva una crisi di paglia e si è ritrovato nei panni dell'accoltellatore dell'unità nazionale.
Giuseppe Conte - come da metafora di Enrico Letta - deve fare i conti con la sua immagine trasformata in quella di un Gavrilo Princip che a Sarajevo spara un colpo di pistola e da lì a poco scoppia la prima guerra mondiale. Intuendo l'antifona, il leader del M5s si fa beccare già in mattinata davanti alla sua casa romana.
E da lì detta la sua linea, più fragile del cristallo. «Il M5S ha dato sostegno a questo governo sin dall'inizio con una votazione, con i pilastri della transizione ecologica e della giustizia sociale - tenta di giustificarsi Conte - se poi si crea una forzatura e un ricatto per cui norme contro la transizione ecologica entrano in un dl che non c'entra nulla, noi per nessuna ragione al mondo daremo i voti. Se qualcuno ha operato una forzatura si assuma la responsabilità della pagina scritta ieri».
Insomma, l'avvocato di Volturara Appula, spiazzato dagli eventi, scarica la responsabilità sugli altri. Sul premier Mario Draghi in primis. Ma anche sugli altri partiti della maggioranza, che non hanno fermato prima la valanga che si stava per abbattere sul governo.
«Nessuno ci ha ascoltato, siamo stati costretti a non votare il Dl Aiuti», è la voce che arriva dalla truppa pentastellata, fronte contiano. «Oggi siamo stati degli scemi», taglia corto un deputato dei governisti in fibrillazione. Tra i parlamentari stellati, quando in Senato è in corso il dibattito sul voto, circola lo screenshot di un tweet della deputata Federica Dieni, vicepresidente del Copasir, assolutamente contraria allo strappo.
giuseppe conte all assemblea congiunta dei parlamentari m5s
«Patuanelli voti la fiducia o si dimetta», hashtag #coerenza. La pensano allo stesso modo almeno venti eletti del Movimento, che potrebbero anche passare a Insieme per il Futuro di Luigi Di Maio, soprattutto se ci fosse la possibilità di salvare la legislatura. Anche perché ora il «draghicida» Conte deve fare i conti con le proteste dei tantissimi parlamentari preoccupati per il mancato raggiungimento della pensione, che scatterà il 24 settembre prossimo.
Uno dei ministri grillini, il governista Federico D'Incà, prima dello showdown tenta l'ultima mediazione. Chiama Draghi per convincerlo a non porre la fiducia sul Dl Aiuti, così da far votare il provvedimento articolo per articolo. La telefonata dura meno di dieci minuti, il premier non ne vuole sapere. Anzi, lo stesso D'Incà, per un altro scherzo beffardo di questa crisi, da titolare dei Rapporti con il Parlamento si trova a leggere il testo in cui il governo annuncia la fiducia a Palazzo Madama.
federico dinca stefano patuanelli
Quando ancora non si sono materializzate le dimissioni di Draghi, la capogruppo al Senato Mariolina Castellone butta la palla in tribuna: «Abbiamo scelto il non voto nel merito di un provvedimento. Invece c'è tutta la nostra disponibilità a dare la fiducia al governo». Riccardo Fraccaro esplicita il suo tormento: «Non sono sicuro che la crisi sia la cosa giusta». Nelle chat nessuno commenta, la truppa sbanda. Nel M5s non si esclude nemmeno un appoggio a un difficile Draghi-bis.
A Conte che tenta di scaricare sugli altri le responsabilità dello sfascio arriva un assist da Matteo Salvini, che invoca le urne e stoppa il Draghi bis. Proprio in quei minuti l'ex premier riunisce per l'ennesima volta il Consiglio Nazionale nella sede del M5s di Via di Campo Marzio.
Nonostante le frasi contro lo strappo, pronunciate con i parlamentari durante la sua ultima visita a Roma, anche Beppe Grillo in giornata si accoda alla svolta di Conte. Il Garante sarebbe «in linea totale» con l'ex premier.
«L'insofferenza toccata con mano nel blitz a Roma - spiega un volto noto del M5s - ha capito che non ne potevamo più. E anche la base: Grillo ha fiuto oltre ad avere un occhio attento sui commenti sui social.
Ha capito che la base è insofferente né più né meno di noi parlamentari». E ancora: «A Roma non ho visto entusiasmo, non c'era più, dobbiamo ritrovarlo, altrimenti il Movimento è fottuto», il ragionamento fatto dal fondatore ad alcuni fedelissimi e riportato dall'Adnkronos.
2 - COLTELLATE TRA I 5S ACCUSE AI MINISTRI E FUGHE IN VISTA
Pasquale Napolitano per “il Giornale”
Un travaglio di veleni, accuse e insulti accompagna il Movimento cinque stelle nel giorno dello strappo con il governo Draghi. Il gruppo al Senato regge: 46 senatori non rispondono alla chiama sul voto di fiducia al dl Aiuti, 15 sono in missione. I 61 senatori si allineano al diktat contiano.
Decisione che determina le dimissioni (respinte dal capo dello Stato) del presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma al netto della compattezza del gruppo, le polemiche non mancano. Il fronte governista è il più bersagliato: ministri e sottosegretari sono accusati di essere filo-draghiani.
A gettare benzina sul fuoco, ecco che arriva Ergys Haxhiu, sconosciuto compagno del ministro grillino Fabiana Dadone che posta sui social una un fotomontaggio che ritrae il ministro Dadone nei panni della contestatrice che, nel 2015, saltò sul podio della conferenza stampa del direttivo dell'Eurotower lanciando coriandoli e fogli Draghi, allora presidente della Bce, al grido di fine alla dittatura.
Alessandro Di Battista, considerato dai governisti grillini il leader di fatto del Movimento, prova a rubare la scena a Conte: «Se davvero dovesse cadere il governo dell'assembramento (io non sono così sicuro) sarebbe un'ottima notizia». Pronostico sbagliato.
Nella notte che precede lo strappo i ministri del M5s tentano la spallata contro l'ala oltranzista. Si cerca di far cambiare rotta al Movimento: missione fallita. All'alba, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d'Incà gioca la carta finale e mette sul tavolo l'opzione di evitare il voto di fiducia sul dl Aiuti e di votarlo per articoli. Palazzo Chigi rifiuta. Si va alla conta. E il M5s conferma in Aula il no alla fiducia. Decisione che si porta dietro i veleni.
«Patuanelli voti la fiducia o si dimetta coerenza» attacca la parlamentare del M5s Federica Dieni. Che poi all'Adnkronos rincara la dose: «Abbiamo votato di tutto, a cominciare dai decreti Salvini sull'immigrazione, e non votiamo un provvedimento con 23 miliardi di aiuti per le famiglie? Io non capisco la ratio, davvero fatico a comprendere. Allora, se si è deciso di fare i duri e puri, chiedo coerenza: si sia conseguenti al non voto di oggi e i nostri ministri lascino il governo.
Mi sorprende ci si accorga solo ora che non siamo ascoltati nel governo, lasciare ora è incoerente, non accadrà mai più di poter incidere, di stare dentro un governo con questo consenso, con i numeri che abbiamo in Parlamento. Non è questo il momento di andare all'opposizione, ma poi a fare opposizione su cosa? Sulle misure per fermare il rincaro delle bollette?
Sui provvedimenti a sostegno di imprese e lavoratori? Io credo sia irresponsabile nei confronti del Paese. Per me non si deve andare a votare ora, né tantomeno aprire una crisi nel bel mezzo di un conflitto in corso, con la pandemia che ha ripreso a correre, con i rincari delle materie prime, il caro bollette».
Nel Movimento si apre la caccia al «traditore». La Dieni è tra i sospettati. Lei smentisce. Gli occhi si spostano sul viceministro Alessandra Todde. Anche qui arriva la smentita. Però i malumori crescono e nei prossimi giorni potrebbero esserci nuove fughe. A breve dovrebbe essere ufficializzato il passaggio tra i dimaiani del sottosegretario alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri.
Stefano Buffagni e Alfonso Bonafede riflettono. Lo strappo sul dl Aiuti potrebbe avere come colpo di coda un'altra mini scissione con l'addio al Movimento di Buffagni, D'Incà, Cancelleri e Bonafede. I contiani non arretrano. E restano in assetto di guerra. «Chi farnetica di Papeete 2 ad opera del M5S si dimostra come sempre un mistificatore della realtà: noi oggi lasciamo agli altri la sedicente teoria di sedere dalla parte giusta della storia, noi invece sediamo convintamente dalla parte dei cittadini, e il nostro documento in 9 punti presentato da Conte a Draghi lo certifica» avverte Roberta Lombardi, assessore regionale M5s nella giunta Zingaretti. I falchi esultano. Il primo round è vinto. Draghi getta la spugna.