Simonetta Fiori per la Repubblica - Estratti
«Lo disse Pietro Nenni al principio della vita repubblicana: “Se avete una critica da muovere, criticate sempre le idee e mai le persone, perché questo lo facevano i fascisti e noi siamo diversi”. Qui c’è qualcuno che non è diverso, evidentemente». Questa volta con Giuliano Amato partiamo da una lezione di metodo democratico.
Succede infatti che è bastata una intervista su questo giornale su alcuni principi essenziali di diritto costituzionale — la solitudine delle Corti davanti alle destre populiste e i rischi di derive autoritarie — per trasformare il dottor Sottile in un nemico del governo, un pericoloso estremista da scaricare pubblicamente (conferenza stampa della premier) e mettere alla pubblica gogna sui giornali della destra. Poche settimane più tardi, con lo stesso metodo, è stata delegittimata Repubblica attraverso l’attacco al suo editore.
«Tutto questo contrasta con il metodo democratico indicato da Nenni», dice il presidente emerito della Corte Costituzionale. «Non si criticano le idee né si smentiscono le notizie, ma si disconosce l’autonomia di un giornale cancellando una cosa non piccola che è la libertà di stampa».
Torniamo alla conferenza stampa della presidente del Consiglio. Si aspettava di essere scaricato in quel modo? Lei era presidente di una commissione governativa sulla Intelligenza artificiale e Giorgia Meloni ha detto pubblicamente di non averla mai voluta in quel ruolo.
«No, non me l’aspettavo, per questo ho dato subito le dimissioni. Ma ad amareggiarmi è stato altro: non mi riconoscevo nella situazione che si era creata. Ero io quell’estremista politico nutrito solo da odio per la destra? Parlavano di me quando venivo evocato come un partigiano senza pudore che vuole alla Consulta solo giudici di sinistra all’assalto della maggioranza di centro-destra?».
Non propriamente un dottor Sottile.
«Mi porto da decenni il soprannome che mi ha dato Scalfari, per l’equilibrio dei giudizi e la moderazione del linguaggio. Il dottor Sottile la clava non la sa neppure tenere in mano. Preferisce usare il bisturi».
Ma forse il bisturi disturba più della clava.
«In quella nostra intervista avevo richiamato un principio che si trova in ogni Costituzione che preveda una Corte Costituzionale. Ed è un principio che vado ripetendo in numerose occasioni pubbliche. La Consulta ha il compito di sindacare le leggi. Le leggi le fanno le maggioranze parlamentari, quindi le Corti Costituzionali hanno il compito di sindacare le maggioranze parlamentari. Ovviamente il giudizio deve essere fondato sulla Costituzione, non sulle idee personali e politiche dei giudici».
Fin qui siamo nel manuale.
«Continuiamo a esserlo anche con il ragionamento successivo. Se una Corte giudica le leggi di vent’anni prima, nessuno se la prende. Ma se sindaca le leggi del suo tempo, può provocare la reazione contraria della maggioranza politica. Quando poi la maggioranza è populista, il rischio diventa un altro: ritenendosi quella maggioranza incarnazione del popolo, chi è contro di lei è un nemico del popolo. Quindi a quel punto anche la Corte Costituzionale diventa nemico del popolo e perciò esiste la tentazione di tagliarle le unghie o di impadronirsene».
Per aver detto questo è diventato anche lei il nemico del popolo.
«Ho pensato che fosse una fake news. Poi l’ho vista ribadita sistematicamente sui quotidiani di riferimento della destra: Libero, Il Giornale, la Verità . Giorno dopo giorno mi sono visto dipinto come un personaggio più che odioso, direi spregevole. A quel punto mi sono ricordato di Pietro Nenni che invitava a criticare le idee, senza demonizzare le persone. Perché questo lo facevano i fascisti e noi siamo diversi. Evidentemente qui c’è qualcuno che non è diverso».
Lei non è il solo bersaglio.
«E questo mi amareggia ancora di più. Poche settimane più tardi la stessa modalità di aggressione si è ripetuta contro Repubblica e il suo editore John Elkann. Dopo l’attacco pubblico della presidente del Consiglio, uno dei giornali di riferimento si è prodotto in un ritratto sprezzante di Elkann: ancora una volta, dalla legittima critica siamo passati al dileggio della persona. Questo contrasta con il metodo democratico».
Può un presidente del Consiglio delegittimare un giornale? In questo atto non c’è un deficit di cultura democratica e anche di cultura istituzionale?
« Repubblica è stata delegittimata in quanto giornale di opposizione. Ma in un dibattito democratico non si agisce in questo modo: se gli argomenti di Repubblica sono infondati e contestabili, la premier può replicare sullo stesso giornale informando i lettori dell’infondatezza. Esiste anche una legge sulla stampa che prevede il diritto di replica. In questo modo, oltretutto, si riduce il pericolo di travisamento. Chi replica è costretto a stare sul pezzo: se tu scrivi che due più due fa quattro, è difficile per chi replica attribuirti due più due fa cinque».
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giovanbattista fazzolari giorgia meloni al senato
Ha visto la velina distribuita da Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a tutti i parlamentari di Fratelli d’Italia? Vi era indicato con quali argomenti attaccare Repubblica.
«Ho stentato a crederci. Ma come è possibile? Io apprezzo il cammino che la presidente del Consiglio ha intrapreso per entrare nel mainstream europeo e mi auguro che in questo modo arrivi a guidare in Italia una forza conservatrice moderata, libera del vecchio bagaglio. Ma se è così, come può ignorare che quella velina ricorda inevitabilmente il regime fascista e il suo Minculpop?».
Insofferenza agli organi di controllo e insofferenza alla libera informazione non sono le facce della stessa medaglia?
giorgia meloni e giovanbattista fazzolari
«Ho avvertito sui quotidiani della destra una gran voglia di leggere la Corte Costituzionale in ragione dei partiti che ne esprimono i componenti: sembra che l’elemento determinante sia piazzare i propri uomini dentro la Consulta. Ma questo suscita vera inquietudine! E c’è persino qualcuno che mi ha attribuito un simile disegno.
Ho sempre detto che chi la pensa così sbaglia profondamente. Le scelte che i giudici fanno nella Corte prescindono da vere o presunte affiliazioni politiche. Nella mia esperienza diretta, in materia di benefici penitenziari la posizione dura attribuita alla destra l’ho tenuta io, e la posizione garantista nei confronti degli ergastolani cattivi è stata difesa da Nicolò Zanon, il giudice espresso dal centro-destra. Potrei fare mille altri esempi».
A giugno ci saranno le elezioni europee. Meloni deve scegliere da che parte stare: se dalla parte di una destra conservatrice democratica o con la destra populista di Orbán, di Pis e di Vox.
«Credo che la scelta l’abbia già fatta, sapendo benissimo che il futuro della destra europea appartiene soltanto a uno schieramento conservatore radicato nella democrazia. Escludo che nelle prossime elezioni possano essere ribaltate le attuali maggioranze, ma è possibile che si assottiglino sia socialisti che popolari, rendendo necessario includere anche se non stabilmente i conservatori.
Da qui anche lo stretto sodalizio tra Meloni e von der Leyen. Ma una destra democratica deve essere capace di moderare le componenti populiste più radicali. E deve mettere fuori gioco una formazione estremista come Alternative für Deutschland, alleata dell’alleato Salvini. Resta il mio sbigottimento davanti a un partito come la Lega che fa accordi con chi invoca deportazioni di massa».
La preoccupa l’insistenza sul premierato elettivo che va a toccare gli equilibri della democrazia parlamentare?
«Mi preoccupa anche la scarsa responsabilità dell’opposizione che invece di controproporre una soluzione ragionevole — ad esempio il premierato tedesco che non tocca le prerogative del Parlamento e del Presidente della Repubblica — sembra preferire lo scontro frontale e tentare di giocarsi la vittoria al referendum. Ma il suo primo argomento dovrebbe essere che la forza della Costituzione deriva dall’essere figlia del consenso di tutti: a questo in primo luogo dovrebbe spingere la maggioranza.
Così facevano i vecchi partiti, che si sentivano responsabili verso l’interesse nazionale».
Sul piano dei diritti, ancora passi indietro. Suicidio assistito: la legge regionale veneta di iniziativa popolare, che attuava le indicazioni della Corte Costituzionale, non è passata per il voto contrario di una consigliera cattolica del Pd. Sulle questioni etiche lo scontro è trasversale, segnato dalla distanza tra cattolici e laici. Ma non c’è stato un irrigidimento rispetto alle grandi battaglie degli anni Settanta su temi analoghi come l’aborto? Molti cattolici democratici, pur escludendo di farvi ricorso personalmente, difendevano il diritto di tutte le donne di interrompere la gravidanza in condizioni sicure.
giuliano amato lorenzo guerini al copasir 4
«Non saprei risponderle. Devo ancora sperimentarlo dal momento che proprio nell’ambito del Cortile dei Gentili sto lavorando sul tema del fine vita. Se si rimane ancorati alle domande ultime, è difficile trovare uno sbocco condiviso: per alcuni la vita è indisponibile, per altri c’è l’autodeterminazione. Bisogna concentrarsi sulle circostanze, quando la vita non è più vita, è solo sofferenza senza speranza. In questi casi si può?».
Qual è la sua posizione?
«Sono persuaso che una vita umana privata della speranza non sia più degna di essere vissuta: ovviamente se la malattia è irreversibile e il dolore fisico o anche solo psichico risulta intollerabile. La domanda che cerco di mettere al centro della discussione è: ma se questa persona privata dei farmaci è destinata a estinguersi, perché non la aiutiamo a morire? Non è accanimento terapeutico tenerla in vita? Non escludo di riuscire a trovare una posizione condivisa, ma è un percorso complesso».
GIULIANO AMATO ALLA STAMPA ESTERA
Ora la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi nuovamente sul suicidio assistito. In sostanza la Corte aveva stabilito quattro condizioni per poter esercitare quel diritto: la capacità di prendere decisioni, l’irreversibilità della malattia, le sofferenze intollerabili e “il trattamento di sostegno vitale”. Ma di questa ultima formula, tranne il caso di una paziente oncologica veneta, finora hanno prevalso interpretazioni restrittive: se ci si riferisce a una macchina va bene, se sono terapie farmacologiche non va bene. Ora la Corte deve specificare che cosa intende per trattamenti di sostegno vitale. Qual è la sua opinione?
«Da ex presidente della Corte la regola vuole che io non intervenga su una decisione all’esame della Consulta, ma non avrei dubbi sulla interpretazione di quella nostra sentenza. La formula “tenuto in vita da sostegni vitale” non include solo pazienti dipendenti da macchinari — questo era il caso del Dj Fabo — ma anche i malati che dipendono da terapie e farmaci. Ma è bene che sia la Corte a specificarlo, per evitare che il diritto di morire cambi da regione a regione».
Questo perché ancora non abbiamo una legge nazionale.
«Ed è questo il punto. Il fatto che la Corte debba tornare su sé stessa è il segno dell’attuale debolezza del Parlamento: questo è un classico caso in cui il Parlamento sarebbe potuto intervenire con una legge».
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