1 - L’EX PREMIER NON PUÒ LIMITARSI A SALIRE SUL CARRO DEL VINCITORE
Stefano Folli per “la Repubblica”
francia emmanuel macron con brigitte
Sarebbe incongruo se ora la reazione italiana al voto francese si limitasse a un generico tentativo di salire sul carro del vincitore Macron da parte del centrosinistra renziano. Ovvero a un applauso a Marine Le Pen a opera dei “sovranisti” anti-euro. Il primo turno delle presidenziali contiene lezioni più profonde su cui riflettere. E non esistono facili analogie, nonostante le apparenze.
In primo luogo, Macron non è il Renzi francese. Semmai, è Renzi che potrebbe diventare in prospettiva il Macron italiano. Il candidato del centro/centrosinistra d’Oltralpe ha colto per tempo la disfatta del partito socialista di Hollande e ha imboccato un sentiero personale lungo il quale non ha mai perso di vista l’Europa e il ruolo della Francia al di là della tentazione nazionalista.
Sarà pure il candidato del “sistema”, come dicono con un punta di irrisione i sui avversari, ma è stato coerente con i suoi principi e ora sfida Marine Le Pen che si dipinge come espressione dell’anti-sistema. Di certo Macron non ha perso tempo con le primarie del Ps, da cui è emerso Hamon poi drammaticamente sconfitto nel voto di ieri sera.
Renzi sembra condividere il giudizio negativo sul partito tradizionale, il Pd in questo caso, ma a differenza di Macron si è intestardito in una lunga contesa interna di cui le primarie di domenica prossima costituiscono il passaggio cruciale. Solo adesso, dopo la Francia, qualcuno forse noterà che si è speso un patrimonio di energie per un risultato modesto: uno sforzo di rilegittimazione affidato a una sorta di mini-referendum vissuto senza passione, come ha scritto Piero Ignazi su queste colonne, e con il rischio di una mediocre affluenza.
Peraltro Macron ha ottenuto il risultato che finora a Renzi è sfuggito: riuscire a farsi davvero trasversale e conquistare segmenti dell’elettorato di centrodestra. Molti dei voti mancati al post-gollista Fillon sono passati a lui. Idem per un pezzo dei consensi socialisti che Hamon ha perso (un’altra fetta consistente è andata a sostegno del massimalista-nazionalista Mélenchon e della sua sterile posizione che ora gli impedisce di compiere una scelta fra i due candidati maggiori).
Renzi avrebbe interesse oggi a rimodulare la sua proposta politica sul modello Macron. Andando però alla sostanza e quindi abbandonando le punzecchiature all’Unione, le mezze minacce, le promesse di battere i pugni sul tavolo: una linea da comprimario anziché da protagonista. Fra due settimane lo scontro frontale Macron-Le Pen si giocherà sull’integrazione europea e sul futuro della moneta, quindi anche sul rapporto con Berlino e con la Commissione di Bruxelles.
Il “fronte repubblicano” che si è già unito contro la candidata dell’estrema destra ha fatto una scelta che Renzi, se vuole essere il Macron italiano, dovrebbe replicare con altrettanta chiarezza d’intenti. La sconfitta dei partiti storici - socialisti e post-gollisti esclusi dal ballottaggio - è un segnale anche per l’Italia.
Significa che il panorama politico sta vivendo una mutazione sconvolgente, ben oltre la prevedibile sconfitta finale del Front National. Qualcosa che riguarda anche noi, se i Cinque Stelle continueranno a crescere nei sondaggi e se, anziché un “fronte repubblicano”, avremo degli accordi opachi all’ombra del proporzionale.
Ossia di una legge elettorale molto diversa da quella francese, come lo era del resto anche l’Italicum; il che priva l’Italia di quella garanzia democratica offerta dal doppio turno fondato su collegi uninominali, tassello essenziale in un sistema che funziona e seleziona la sua classe dirigente.
Quanto ai sovranisti, da Salvini ai Fratelli d’Italia, il loro compiacimento è scontato, ma non apre prospettive esaltanti. Se il destino del Fronte è la sconfitta finale, gli epigoni italiani del lepenismo non avranno possibilità migliori. E se, più realisticamente, il loro obiettivo è di condizionare Berlusconi, è facile immaginare che il fondatore di Forza Italia sia più interessato al trasversalismo di Macron o alla rinascita di un centrodestra nel solco del Ppe.
2 - RENZI CERCA LA SCIA DI MACRON “SOCIALISTI AL 6%, IL PD STA AL 40”
Ernesto Ferrara per “la Repubblica”
«E poi si lamentano del nostro 40%...», dice Matteo Renzi. Un pò ci scherza, un pò sarà scaramanzia. Del resto a chi chiede se il risultato del voto francese e di Macron possa rappresentare un buon auspicio per il Pd Matteo Renzi risponde che «non c’è nessun automatismo: è importante che Macron sia avanti ma la sfida vera è tra 15 giorni ed è un passaggio cruciale».
Dall’affermazione di Macron, Renzi coglie un segnale: «È nato il Pd anche in Francia», dice ai suoi. Ora deve vincere, per l’Europa». Commentando il voto dalla sua Pontassieve però quello che lancia l’ex premier è anche un messaggio interno al suo partito. Forse anche a chi ne è uscito per fondare Mdp: «Spero vinca Macron, ma intanto faccio notare a chi si lamenta del nostro 40% che in Francia i socialisti sono al 6% (Hamon, ndr), anche in Olanda sono bassi».
Golfino blu girocollo alla Marchionne, dopo le tappe in Lombardia e in Emilia, Renzi ferma il trolley della campagna primarie ormai avviata al rush finale tra le mura amiche di casa. Nove giovani militanti dem lo interrogano in diretta Facebook, un’ora di botta e risposta a cui assisteranno mezzo milione di persone mentre fuori dalla sede del comitato Renzi si raduna una piccola folla a caccia di selfie. Un anziano supporter urla: «Dai Matteo forza che bisogna tornare sulla breccia».
In un dibattito che affronta i temi della legge elettorale e della scuola, dei vaccini e dell’immigrazione, Renzi si lascia andare pure a qualche autocritica. Ma rimane convinto che il Pd parta da molto in alto: «Quel 41% del referendum di dicembre ricalca geograficamente il 40% del voto europeo. C’è con noi una parte di popolo che vuole il cambiamento. È un bel popolo: non si riparte da zero ma da 10 milioni di persone». Consenso replicabile alle prossime politiche? E con quale forza ci arriverà Renzi se domenica prossima venisse eletto segretario da meno di un milione di persone? «Nessun flop. Nessuno porta in Italia e in Europa il numero di persone a votare che portiamo noi del Pd».
A Pontassieve è il voto francese a tenere banco: «Se fossi francese voterei Macron», dice ai ragazzi Renzi. Dopo le 20, quando gli exit poll sono ufficiali, aggiunge di più: «Aspettiamo, vediamo come va. È ancora presto per fare un’analisi complessiva. Macron avanti? Un buon auspicio per la Francia, perché questo voto ha ricadute cruciali per il futuro della Francia e per quello dell’Europa».
Spaventato dalla destra populista di Le Pen? Con Macron l’ex premier ha buoni rapporti: «Una volta mi chiamò pure per la Leopolda...», ricorda. E lo slogan «in cammino», che Renzi ha scelto dopo la sconfitta del 4 dicembre, è lo stesso del movimento di Macron, «En marche!».
Ultima settimana di campagna con tappa a Bruxelles, annuncia Renzi: «Venerdì andremo lì con 100 ragazzi a dire cosa pensiamo». L’Europa, sostiene l’ex premier, va difesa ma cambiata: «Più famiglie meno banche». Attacco ai 5 Stelle e a Luigi Di Maio: «Sugli immigrati guardano i sondaggi». Apertura sul Legalicum: «M5S faccia una proposta sulla legge elettorale, siamo disponibili».
Sulla vicenda Consip torna ad attaccare: «Aspettiamo le sentenze, se qualcuno ha fabbricato prove false sarebbe cosa gravissima». Sulla scuola: «Riparto da lì se vengo eletto segretario, da dove il dente duole». E poi annuncia un “piano mamme”: «La maternità non deve più essere un problema. Il 25 novembre un G7 dedicato alle donne a Venezia». Sul 25 aprile: «Tenere fuori la Brigata ebraica dalle celebrazioni è uno scandalo».