1. VATICANO, LO SCANDALO DEL PALAZZO. A MONSIGNOR ALBERTO PERLASCA SEQUESTRATI CONTI IN SVIZZERA
Mario Gerevini e Fabrizio Massaro per www.corriere.it
Un monsignore che è stato molto vicino al Papa. Il banchiere storico del Vaticano. Il funzionario della Segreteria di Stato. I due finanzieri dell’affare della palazzo di Londra. Ecco i nomi dietro i conti svizzeri sequestrati. Conti milionari intestati o gestiti da monsignor Alberto Perlasca, figura centrale dentro la Segreteria di Stato vaticana in quanto responsabile degli investimenti. Gli sono stati sequestrati nei giorni scorsi dalla magistratura svizzera, su richiesta del Promotore di giustizia Vaticano (il corrispettivo del nostro pm) che indaga sullo scandalo da 300 milioni di euro dell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra. Ma non solo.
I finanzieri nel mirino
LA LETTERA DI ENRICO CRASSO A ANGELO BECCIU
Sono finiti sotto sequestro anche conti intestati al finanziere Raffaele Mincione. E poi quelli del gestore dell’Obolo di San Pietro e del patrimonio della Segreteria di Stato, Enrico Crasso, già dirigente del Credit Suisse e ora fondatore e responsabile del fondo maltese Centurion che ha in mano una cinquantina di milioni di euro sempre del Vaticano e investiti, fra l’altro, in Italia Independent di Lapo Elkann e nel film su Elton John. Ci sono poi i conti intestati o gestiti dal funzionario dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi.
E infine i conti correnti del broker residente a Londra Gian Luigi Torzi, arrestato venerdì dentro il Vaticano al termine di un interrogatorio. In totale si parla di decine di milioni di euro ma non ci sono conferme ufficiali. Enrico Crasso, contattato dal Corriere della Sera, ha prima replicato via Whatsapp con un «nessun commento» alla richiesta di chiarimenti, precisando solo che i sequestri nei suoi confronti riguardano conti «comunque solo gestiti». Poi ha aggiunto di aver «offerto massima collaborazione agli inquirenti» e di essere «fiducioso che gli accertamenti in atto consentiranno di verificare l’assoluta correttezza del suo operato».
L’inchiesta voluta dal Papa
È un’ulteriore svolta nello scandalo sul palazzo di Londra e sulla gestione dei capitali della segreteria di Stato, che da oltre un anno squassa gli equilibri tra i vari poteri dentro le Sacre Mura. Un’indagine delicatissima, voluta direttamente da Papa Francesco che ha ordinato un’operazione di pulizia dal di dentro. L’indagine avrebbe fatto emergere una «enorme voragine» nei conti dello Stato Vaticano «compiuta da funzionari della Segreteria di Stato» con la complicità di «soggetti esterni».
Il giallo sulla proprietà del palazzo di Londra
Il funzionario vaticano Tirabassi e monsignor Perlasca sono indagati per peculato, in concorso con i finanzieri Torzi e Mincione per il complicato passaggio, tra novembre e dicembre 2018, della società con sede a Jersey, la 60 Sa, che deteneva il palazzo, dal fondo Athena Capital Global Opportunities gestito da Mincione — in cui aveva investito fin dal 2013 — alla Segreteria stessa, che divenne così titolare del 100% dell’immobile. In questo passaggio Torzi intervenne come intermediario, con una società lussemburghese creata ad hoc, la Gutt sa.
Il peculato riguarderebbe la cifra di 40 milioni di euro pagata dalla Segreteria a Mincione per sciogliere l’investimento del Vaticano nel fondo Athena: si trattò di un conguaglio in denaro determinato dalla valutazione degli investimenti del fondo, a cominciare dal palazzo di Sloane Avenue, che sarebbe stato sopravvalutato. Altri 15 milioni li ha incassati invece Torzi nell’aprile 2019, dopo quattro mesi di lavoro, tra commissioni per l’intermediazione e la transazione per rinunciare all’amministrazione del palazzo, che lo stesso Torzi avrebbe ottenuto contrattualmente forzando — da qui l’accusa di truffa aggravata — l’effettiva volontà della Segreteria.
La collaborazione delle autorità svizzere
È in questo contesto che matura l’accusa di peculato, che si affianca a quelle di truffa, estorsione e autoriciclaggio. I sequestri hanno riguardato, a vario titolo, conti personali o riferibili a società, e conti sui quali gli indagati avevano la delega ad operare, anche per ragioni di servizio ma che potrebbero aver usato per scopi personali. Quest’ultimo è il passaggio chiave ed è da dimostrare. Intanto però diversi conti sono stati sequestrati presso il Credit Suisse, storica banca che gestisce il patrimonio riservato della Segreteria, stimato in oltre 500 milioni di euro che ora sono in gestione (e in sicurezza) all’italiana Azimut.
«Credit Suisse non è soggetto all’indagine in corso condotta dal Vaticano, ma collabora con le autorità nel rispetto delle normative vigenti», è la dichiarazione rilasciata al Corriere della Sera dall’istituto elvetico. La collaborazione tra l’autorità giudiziaria vaticana e quella svizzera era stata confermata nei giorni scorsi dal portavoce del ministero della giustizia di Berna, che aveva confermato la consegna di alcuni documenti e di altro materiale alle autorità vaticane, sulla base degli accordi di collaborazione internazionale. Mancavano i nomi.
2. I SOSPETTI DELL'ANTIMAFIA SUL CONSULENTE VATICANO
Giuliano Foschini per ''la Repubblica''
stabile di sloane avenue londra
«Ma a chi si affida per i suoi affari i il Vaticano?». La domanda, da mesi, gira negli uffici della Guardia di Finanza e di quelle procure italiane, non poche, che conoscono bene Gianluigi Torzi il cui curriculum giudiziario, già prima della storia del palazzo di Londra, non era affatto illibato.
Repubblica è infatti in grado di raccontare come la Direzione nazionale antimafia già a ottobre del 2019 avesse per le mani un' informativa della Finanza che raccontava Torzi come non il miglior partner a cui rivolgersi. Meglio: come un finanziere nelle black list dell' antiriciclaggio di mezzo mondo. «Insieme con il padre Enrico - scrive il Nucleo di polizia valutaria di Roma in un' informativa di 26 pagine - è nelle liste mondiali di bad press in relazioni a svariate indagini avviate dalle procure di Roma e Larino per falsa fatturazione e truffa». Il nominativo «ricorre in plurime inchieste penali, anche presso l' autorità giudiziaria milanese ». Il nome di Torzi, inoltre, sarebbe segnato da «un' evidenza negativa ai fini antiriciclaggio, classificata ad alto rischio».
Non si trattava di informazioni troppo riservate. Ma di notizie di cui il Vaticano poteva facilmente entrare in possesso. Le aveva avute, per esempio, la Banca popolare di Bari il cui consiglio di amministrazione bloccò un' operazione proposta dall' allora amministratore delegato Vincenzo De Bustis, poi interdetto dalla procura di Bari proprio per la gestione della banca.
stabile di sloane avenue londra
Torzi aveva assicurato a De Bustis l' acquisto di bond che la banca avrebbe emesso per una cifra vicina ai 30 milioni. La stessa che, ipotizza oggi l' inchiesta del Vaticano, l' affarista pensava di incassare dall' operazione del palazzo londinese. Torzi avrebbe usato come strumento una società maltese, la Muse Ventures Ltd, con un capitale sociale da 1.200 euro. L' operazione saltò, perché si mosse l' antiriciclaggio interna, «ma non per ragioni interne dalla banca», annota ancora la Finanza.
Ma l' inchiesta non si è fermata.
Né a Bari, dove l' indagine su De Bustis e gli Jacobini è ancora in corso. E né a Roma, in via Giulia, dove il nucleo di Polizia valutaria ha anche inviato una nota sulla vicenda Torzi alla Direzione nazionale antimafia. Che, scrivono, «aveva manifestato interesse» su quel consulente del Vaticano.
3. VATICANO: CHAOUQUI, 'SOLDI OBOLO S.PIETRO GESTITI IN AUTONOMIA, PERICOLOSE LOBBY FINANZIARIE'
(Adnkronos) - "Auspico che ora venga fatta luce, soprattutto sulle responsabilità dei sacerdoti che in quel momento hanno ritenuto di utilizzare i fondi dell'Obolo come fossero le casse di casa loro. La lobby finanziaria è disposta ad uccidere", dice la Chaouqui spiegando che esisterebbe una cupola gestita da clero e laici dietro le (presunte) ruberiei. "Conservo le prove, coperte da segreto pontificio, che non ho violato nemmeno per difendermi quando la cupola ha deciso di farmi arrestare".
"Arrivarono addirittura a istituire un processo mediatico, indebolendo così l'immagine delle persone all'interno della Commissione quando si stava per giungere al nocciolo della questione. Papa Francesco, dal canto suo, pur consentendo il processo, allo stesso tempo ha dato l'opportunità di continuare a indagare", aggiunge l'ex collaboratrice laica del Vaticano.
nuzzi e fittipaldi sul banco degli imputati in vaticano accanto a francesca chaouqui e vallejo balda
"Ho impresse alcune parole di mons. Perlasca quando mi arrestarono incinta e stetti male", riferisce Chaouqui ricordando gli anni dello scandalo Vatileaks II. "Papa Francesco non si è fermato ed è andato avanti. Io ho sofferto e ho visto la mia vita sgretolarsi durante Vatileaks. Ma se questo è servito a contribuire al risultato di oggi, allora posso dire che ne è valsa la pena. Io sarò sempre in prima linea, perché la chiesa è di chi la ama. Non di chi ruba".