Rita Fatiguso per il “Sole 24 Ore”
Pechino esulta. Crescono del 25,5% gli investimenti esteri diretti in Cina, oltre 100 miliardi di dollari nei primi sei mesi di quest' anno rispetto al 2020. Il ministero del Commercio informa che i dieci Paesi Asean e i Paesi lungo la Belt&Road Initiative (BRI) marciano addirittura verso il raddoppio: +46,3 per cento. Ma le prospettive non sono così rosee per la strategia in direzione opposta, quella della Cina rivolta verso l'estero e affidata proprio alla Belt&Road. I prossimi mesi saranno fortemente condizionati dal nuovo quadro politico euroasiatico innescato dal ritorno al potere, dopo un ventennio, dei talebani a Kabul. Addio sogno di allargare a dismisura la nuova Via della seta per terra e per mare a tutto il globo?
Il recente investimento in Africa dell'Aiib, il primo dalla costituzione della Banca multilaterale di sviluppo fortemente voluta da Pechino, faceva ben sperare, ma nei fatti la Cina rischia di "bloccare" a Ovest, lungo i Balcani, i confini della sua azione di internazionalizzazione e di rimanere "inchiodata" a Est all'asse del corridoio pakistano che confina proprio con il turbolento Afghanistan, ormai sempre più "tomba degli imperi".
Non solo. In Europa Pechino ha dovuto rimpiazzare la Lituania che, uscendo dal blocco, ha aperto una crepa nel meccanismo di cooperazione 1+17 tra Cina e Paesi dell'Europa centrale e dell'Est, molti dei quali ex sovietici. E l'ha fatto aprendo le porte ancora una volta a un Paese balcanico, il Montenegro.
Vilnius aveva siglato un Memorandum of understanding per la Belt&Road nel 2017, racimolando poche decine di milioni di dollari di progetti, ma le relazioni con i cinesi si sono disintegrate davanti al piano della piccola repubblica di aprire un ufficio di rappresentanza vero e proprio a Taipei. Pechino di fronte alla semplice idea di una simile decisione peraltro ventilata da un Paese europeo ha subito richiamato a casa l'ambasciatore. Fine della storia.
Circola però un'accusa generalizzata nei confronti di Pechino e cioè quella di aver distribuito le risorse e i progetti della Belt&Road Initiative solo ai Paesi Balcanici. Belgrado in particolare, considerata di vitale importanza per la nuova Via della Seta, ha totalizzato quasi due miliardi di dollari e un progetto chiave come l'alta velocità ferroviaria Belgrado-Budapest. La Serbia resta un corridoio chiave per entrare in Europa e accedere al porto del Pireo controllato dalla cinese Cosco.
CINA - LA NUOVA VIA DELLA SETA
Non va meglio in Asia, il rischio per Pechino è quello di tornare ad avere il corridoio del Pakistan come principale via di accesso centrale a un'area tra le più complesse al mondo, con Paesi sempre in bilico, sul baratro della famigerata trappola del debito e, peraltro, afflitti da fame e guerre. Fatto curioso, però, la Cina ha siglato un accordo di cooperazione BRI tra Kyrgyzstan, Tajikistan e Afghanistan per il cablaggio con fibra ottica, noto infatti come Silk Road Fiber Optic Cable project.
Quella con il Pakistan e del porto di Gwadar è una delle sei autostrade dello sviluppo cinese lungo la BRI in Oriente, le altre arterie sono quelle con Mongolia e Russia, l'Asia centrale e l'Asia dell'Ovest, seguita dall'Indocina, poi il corridoio Bangladesh-India-Myanmar e, infine, il New Eurasian Land Bridge. Questi circuiti, nella narrazione di Pechino, dovrebbero «comporre un circolo ideale per collegare l'Eurasia all'Europa allargando i confini del mercato».