Paolo Valentino per il “Corriere della sera”
«E come avvien quand' uno è riscaldato,/Che le ferite per allor non sente,/Così colui, del colpo non accorto,/Andava combattendo ed era morto». I versi de l' Orlando Innamorato descrivono con metaforica ma efficace approssimazione la condizione nella quale si trova Manfred Weber un mese dopo le elezioni europee. Sia pure con la forte emorragia di voti e seggi registrata dal Ppe - soprattutto in Francia, Italia e Spagna - lo Spitzenkandidat dei popolari è alla testa del gruppo più numeroso del Parlamento di Strasburgo e rivendica per se la presidenza della Commissione.
merkel e macron firmano il trattato di aquisgrana 2
Ma nei trenta giorni trascorsi dal voto, Weber ha ricevuto solo rifiuti, alcuni anche umilianti. Nell'ordine, per citare i più importanti, quelli di Emmanuel Macron, Pedro Sánchez, Mark Rutte, Alexis Tsipras e dei Paesi di Visegrad. La scorsa settimana il Consiglio europeo ha preso atto che non c'è consenso maggioritario né per Weber, né per gli Spitzenkandidat di socialisti e liberali, l'olandese Frans Timmermans e la danese Margrethe Vestager, aggiornandosi a domenica prossima. Ancora più importante, i gruppi liberali, socialisti e verdi hanno ribadito che non intendono votare Weber, il quale non ha dunque la maggioranza in aula indispensabile per concretizzare le sue ambizioni.
Eppure, come il cavalier del poema, pur non avendo in apparenza chance di sopravvivere, Weber combatte. Anzi, cerca l'affondo. In un editoriale pubblicato su Die Welt , ha accusato senza nominarlo Macron di non rispettare la volontà popolare: «Alcuni nel Consiglio vogliono seppellire il principio dello Spitzenkandidat», ha scritto, ma questo sarebbe «devastante» per la democrazia europea. E ancora: «Ogni elettore sapeva chi sarebbe stato il presidente della Commissione, se il Ppe avesse vinto le elezioni: Manfred Weber».
Per il momento, i popolari stanno al suo gioco, pressati dalla Cdu-Csu, che continua a dominare il Ppe. In quella che si voleva come una dimostrazione urbi et orbi di appoggio, ieri sera la cancelliera Merkel ha invitato Weber a cena qui a Berlino, insieme alla presidente della Cdu Annegret Kramp-Karrenbauer, alias AKK, al premier bavarese e capo della Csu, Markus Söder e al presidente del Ppe, Joseph Daul.
Ma dietro le quinte, fonti bene informate assicurano che in realtà si stia cercando una exit strategy, un piano B di cui ancora non vediamo i contorni e che potrebbe essere affinato nel vortice di incontri che i leader europei avranno in margine al vertice del G20 a Osaka, nel tentativo di arrivare a Bruxelles con un nome, anzi dei nomi. Con un punto ben fermo però: se Manfred Weber dovrà mettersi da parte, la Germania intende salvaguardare i propri interessi.
Insomma, come ripete una voce non sospetta, Joschka Fischer, Berlino sta ancora bloccando l'Europa. Merkel non andrebbe al rogo per Weber, come dimostra il fatto che a metterci la faccia è soprattutto AKK, nei giorni scorsi a Parigi per offrire a Macron, in cambio di un ripensamento su Weber, l' appoggio alle liste trans-nazionali, uno dei pallini del presidente francese, che però ha rifiutato. Ma la cancelliera, ancorché indebolita, non vuole accettare che le si neghi qualcosa. E al vertice di Bruxelles Merkel ha sibilato una minaccia: «Dobbiamo trovare un nome sul quale ci sia consenso, per evitare fratture. Altrimenti si rischia di bloccare il quadro finanziario 2021-27», cioè il bilancio comune che ha bisogno dell'unanimità e dove la Germania è la prima contributrice.
Detto altrimenti, Berlino pretende contropartite piccole e grandi per mollare Weber: piccole come la simultanea caduta di ogni candidato francese per la Commissione, grandi come la presidenza della Banca Centrale Europea per il falco Jens Weidmann, che Macron però considera una iattura e non è detto sia disposto a piegarsi. Anzi, sempre più il francese si atteggia a cavaliere bianco in grado di opporsi allo strapotere di Berlino.
Ma se Weber cade e con lui anche il socialista Timmermans e la liberale Vestager. Se cadono i nomi dei francesi emersi in questi settimane, cioè Michel Barnier o Christine Lagarde, chi ha più chance di arrivare alla presidenza della Commissione? Segnatevi due nomi, due outsider che potrebbero fare la sorpresa: Leo Varadkar, premier irlandese, anche lui popolare, appena quarantenne, mezzo indiano e orgogliosamente gay.
E Kristalina Georgieva, bulgara, attualmente capo della World Bank, ex vice-presidente della Commissione responsabile del Bilancio. Sarebbe la prima donna.