Jacopo Iacoboni per “la Stampa”
«Guardi, guardi qui». Leoluca Orlando si apparta un momento e mostra il telefonino. «È l'ultimo sms che ci siamo scambiati con Ignazio. Io gli avevo detto - mesi fa, dopo la seconda ondata di arresti romani - che doveva dimettersi, per non diventare la foglia di fico di un Pd verdinizzato.
E quando venne fuori la storia delle note spese gli scrissi, da amico, che aveva sbagliato. Ma il 20 ottobre, guardi qui, ho cambiato idea: Ignazio andò dal magistrato, mi scrisse che aveva avuto la conferma di non essere neanche indagato, e che dunque stava riflettendo se ritirare le dimissioni. Gli scrissi: a questo punto la vera discontinuità è ritirarle, le dimissioni; che vengano a sfiduciarti».
Poi «Luca» (come lo chiama Marino negli sms) aggiunge la nota di colore: «Deve sapere che io e Ignazio siamo come due fratelli. Siamo entrambi politicamente e spiritualmente figli del cardinal Pappalardo».
Forti dunque di tale benedizione continuiamo a indagare - tra i sindaci italiani riuniti nell' assemblea dell' Anci - se Marino sia, tra i primi cittadini, un corpo estraneo almeno quanto lo è nel Pd, e la prima cosa che si nota è questa: i più critici con lui, o i più restii a esprimersi, sono i sindaci del Pd.
Matteo Biffoni, un grande amico di Renzi, sindaco di Prato e emergente del renzismo del cerchio magico, chiacchiera senza esitazioni: «Il ritiro delle dimissioni è un disastro totale, non ci si capisce più niente. Io non entro nel merito se Roma sia bene o male amministrata, ma così si rompe totalmente ogni rapporto di fiducia coi cittadini, è roba da matti. Avrei capito di più se Marino si fosse dimesso per poi dire "sapete che c' è? Mi ripresento con una lista civica". Non avrei condiviso ma avrei capito. Così siamo alla schizofrenia».
Onore alla schiettezza toscana, ma qui si pensa che la storia sia più complicata, e molto altro ci sia dietro queste non-dimissioni: è pensabile un accordo col segretario del Pd, partito che forse ha realizzato quanto poco gli convenga rischiare di precipitarsi a un voto tecnicamente possibile in giugno? Questo almeno spiegherebbe l' estrema cautela di uomini non renziani, ma certo non ostili a Renzi, e di esperienza molto solida nel Partito. Per esempio Piero Fassino, che quando ti avvicini per salutarlo ti spiega, assai gentilmente, che «oggi su Marino non dirò niente».
Mentre ne parlano eccome - e paradossalmente difendono il sindaco di Roma - i sindaci non del Pd. Luigi De Magistris, per esempio, che ha appena risolto una situazione ancora più difficile, con l' assoluzione in appello, commenta: «Io penso che Marino abbia fatto moti errori, e ingenuità.
Ma credo sia persona onesta, non è neanche indagata, perché doveva dimettersi senza neanche un passaggio istituzionale in Consiglio? Il Pd se vuole mandarlo via si prenda la responsabilità di farlo politicamente, non come se una giunta eletta democraticamente fosse cacciata a furor di popolo».
Il grilino Pizzarotti - diverso dalle campagne del Movimento romano o del direttorio - fa questo ragionamento: «Esistono dei passaggi istituzionali, e Marino ha fatto bene e ricordare che si passa di lì. Un sindaco non può essere mandato via in tv, o con le campagne di piazza». Fantastico, detto da uno pur sempre del Movimento cinque stelle, il partito della piazza, e delle campagne, e ormai (anche) della tv.