Massimo Franco per il Corriere della Sera
GIORGIA MELONI ENRICO LETTA - MEME BY CARLI
Il governo accusa qualche difficoltà sugli aumenti dei prezzi: in particolare su quello della benzina, gonfiato dalla speculazione e utilizzato facilmente dalle opposizioni come arma polemica.
Si sta affacciando il tentativo di trovare dei correttivi, anche per rintuzzare le critiche contro la premier Giorgia Meloni di essersi contraddetta rispetto a quanto aveva detto in precedenza: sebbene l'abolizione delle accise costi circa un miliardo di euro al mese. Ma questa offensiva che tende a mettere sulla difensiva la maggioranza di destra sui temi sociali, è indebolita dal caos a sinistra. Il senatore del Pd Carlo Cottarelli vuole presentare un disegno di legge che indichi quanto costano le promesse elettorali e quanto pesano sul deficit.
Ma iniziative del genere si scontrano poi con un partito avviato al congresso in un'atmosfera surreale. Il Pd non riesce nemmeno a trovare un'intesa tra i candidati sulle regole da seguire per celebrare le elezioni primarie. Viene accusato da alcuni di mostrare la subalternità al Movimento 5 Stelle perfino nel modo in cui imita e si divide sull'ipotesi del voto online.
Il segretario uscente, Enrico Letta, costretto a ritagliarsi un ruolo tra arbitro, garante e pacificatore, ha fatto sapere che rifiuterà soluzioni non concordate con tutti i candidati alla leadership. Ieri ha dovuto chiamare uno ad uno i quattro candidati per capire se sia possibile una mediazione. E già questo è indicativo. Dal Pd la parola d'ordine è: né forzature né lacerazioni; e nessuno spazio a regole «non condivise». L'esigenza espressa ufficiosamente è quella di «evitare fratture».
Ma al momento sono esattamente i rischi che la maggiore forza della sinistra sta correndo.
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Lo spettro della scissione appare a intermittenza. E le voci che ipotizzano uscite dal Pd se prevale una linea politica o l'altra, sono presagi di un congresso di spaccature. Lo scetticismo con il quale viene seguita il percorso congressuale di pari passo con la moltiplicazione dei sondaggi negativi. Il partito viene ormai scavalcato regolarmente nelle intenzioni di voto da un grillismo che ora sposa l'estremismo «progressista». E pesca nell'elettorato di sinistra nel Sud.
È una situazione nella quale non si riesce più a vedere non solo capacità ma possibilità di sintesi. I vertici devono fare i conti con un blocco sociale sfiduciato; con una nomenklatura che non ha più il balsamo del potere a tenerla unita; e con un'offerta politica di leader che è difficile non definire mediocre. Ma soprattutto, nessuno dei quattro candidati appare in grado di far ritrovare al Pd l'unità perduta; e dunque di presentarsi come alternativa convincente non solo all'esecutivo ma anche all'opposizione dei 5 Stelle e, sul versante centrista, alle incursioni del duo Calenda-Renzi.