Estratto dell’articolo di Francesco Bechis per il Messaggero
Non c'è tregua nel Pd di Elly Schlein. Tantomeno un armistizio. Montecitorio, metà pomeriggio. Paolo Ciani inaugura così, in spensieratezza, l'incarico di vice-capogruppo alla Camera che la segretaria gli ha appena affidato: sull'invio di armi all'Ucraina «il Pd può anche cambiare idea». Sia chiaro però, aggiunge a scanso di equivoci, che «io sono contrario».
E invece no, è costretta a chiarire Elly a stretto giro: quando si tratta di spedire a Volodymyr Zelensky munizioni, armi e quanto serve alla resistenza, «la linea del partito è chiara e non cambia». È già tardi, però, quando la timoniera del Nazareno mette una toppa, in serata. Perché nel frattempo, tra le truppe parlamentari, è scoppiato il Ciani-gate. Un caso nel caso: il parlamentare cattolico e volto di punta della Comunità di Sant'Egidio, eletto con la lista Demos, che non intende lasciare, «non mi iscrivo al Pd», è infatti il nome che Schlein martedì ha scelto per sostituire - c'è chi dice «defenestrare» - l'ex vicecapogruppo del Pd a Montecitorio Piero De Luca, figlio del governatore Vincenzo, arci-rivale della segretaria con passaporto svizzero. Da due giorni il cambio della guardia, «una vendetta personale contro la dinastia De Luca», accusano le minoranze dem, fa rumoreggiare il partito. Sicché i distinguo di Ciani sulla guerra, confidati ieri a Repubblica, hanno fatto il resto.
Raccontano di un furibondo Lorenzo Guerini, leader di Base Riformista: «La nostra linea sull'Ucraina non è minimamente in discussione», ha messo a verbale ieri pomeriggio il presidente del Copasir. Non un assolo, ma un coro a cui man mano si sono aggiunte prime file del partito.
Cambiare linea sulle armi a Kiev «sarebbe un errore», ammonisce il veterano Piero Fassino. Filippo Sensi ne fa una professione di fede: «Il mio sostegno fino alla fine all'Ucraina non vacillerà», scandisce il sentore. «Il Pd è dalla parte della libertà e della democrazia», si affretta a twittare il collega Dario Parrini. Ovunque, in Parlamento e nella bolla social, il caso-Ciani tiene banco. Specie tra i riformisti, convinti che le parole del catto-dem sull'Ucraina siano la spia «di un nuovo andazzo in segreteria» e decisi a farsi sentire nella direzione di lunedì prossimo. Né bastano, in serata, i chiarimenti del vicecapogruppo che spiega come il suo niet al sostegno armato «non impegna né il gruppo né il partito». È in fondo quel che Schlein, per placare le acque, è costretta a riferire ai cronisti che la inseguono al Senato: «Ciani ha fatto queste dichiarazioni a nome del suo partito, che è Demos, che non è il Pd».
Caso chiuso? Non proprio. Da Roma il polverone raggiunge Bruxelles. Ed è Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, a calare l'affondo più duro: «Ciani diventa vicecapogruppo del Pd, dichiara di non volersi iscrivere al nostro partito ma di volerne cambiare la linea sull'Ucraina. Grande confusione sotto il cielo».
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