1. VERSO IL VIA LIBERA AL SALVA -STATI SOLO CINQUE O SEI I NO TRA I GRILLINI
Simone Canettieri e Alberto Gentili per ''il Messaggero''
E' una questione di tempo e di strategia. Come lo sono state tutte le svolte del M5S: dalla Tap al Tav, passando con il governo con il Pd alias «partito di Bibbiano». E allora dentro ai gruppi parlamentari e nei caminetti dei big inizia a montare la consapevolezza che se la trattativa europea dovesse volgere verso il Fondo salva Stati (Mes), sarà difficile, o meglio impossibile, votare «no» con il Pd e il resto della maggioranza che vanno dalla parte opposta.
L'appuntamento, che dovrebbe cadere a inizio luglio in occasione delle comunicazioni del premier sul Consiglio europeo del 9, ha come sempre un teatro ad alta tensione: il Senato, dove la maggioranza sta in piedi per una manciata di voti. Ma qualcosa si sta muovendo, tra i 5Stelle. E se perfino un grillino della vecchia guardia, come il senatore ed ex ministro Danilo Toninelli dice che «il Mes senza vincoli rigidi sarebbe un'altra cosa» significa che qualcosa si sta muovendo. D'altronde alla bouvette di Palazzo Madama nelle chiacchiere tra senatori M5S sono in molti a dire, tipo Primo De Nicola o Emanuele Dessì, «che con il Paese in crisi come si potrebbe dire di no a un prestito di 37 miliardi per la sanità con tassi vantaggiosi?».
Appunto, come si potrebbe dire di no? «Io sono pronto a votare sì», confida Dessì, già storico attivista dei Castelli romani. E come lui la pensa la gran parte dei suoi colleghi. Di sicuro, nel pallottoliere di queste ore ci sono circa cinque o sei nomi di senatori pronti a fare le barricate: Barbara Lezzi, Matteo Mantero, Elio Lannutti, Mattia Crucioli, Cataldo Mininno. Voti fondamentali che sarebbero, però, subito rimpiazzati, in maniera abbondante, da Forza Italia, da sempre favorevole al Mes, come ha spiegato pubblicamente Silvio Berlusconi e come dimostra l'atteggiamento di ieri nelle aule parlamentari.
TRENTA COSTA BONISOLI TONINELLI LEZZI GRILLO
Con Fratelli d'Italia e la Lega fuori e i forzisti dentro ad ascoltare l'informativa di Conte. Fin qui l'aritmetica, poi c'è la politica e la pattuglia ministeriale che in questa fase di caos guida il Movimento. Ufficialmente Luigi Di Maio non ha mai aperto al Fondo salva Stati e, anzi, vuole lasciare la guida di questa operazione, quando il Parlamento si dovrà esprimere, nelle mani di Conte. «Giuseppe conosce la nostra posizione», ripete spesso il titolare della Farnesina. Una maniera per non dire no, ma per lasciare gli oneri di una trattativa durissima al presidente del Consiglio.
Laura Castelli, mente economica dei pentastellati e viceministro in via XX Settembre, a domanda diretta risponde: «Che senso ha indebitarsi, a tassi di interesse più o meno vantaggiosi, quando in casa si hanno soldi bloccati che non si riescono a spendere?». Un modo, sempre, per spronare Palazzo Chigi. Ma la partita è più aperta che mai nei 5 Stelle, anche perché si intreccia con la complicata vicenda della leadership.
E quindi con Alessandro Di Battista non ancora recuperato, nonostante le telefonate di Vito Crimi, i tempi del voto saranno fondamentali. Non a caso Ignazio Corrao, braccio destro di Dibba ed europarlamentare per il momento sospeso, annusando puzza di bruciato torna ad attaccare: «Il Mes non è nel programma, non serve un voto su Rousseau». Scenario complicato, ma non impossibile. Anche perché se la situazione dovesse complicarsi all'interno del gruppo parlamentare grillino, Conte ha sempre un numero da comporre: quello di Beppe Grillo. Un intervento del Garante, sempre più attivo, potrebbe essere risolutorio.
IN UN VICOLO CIECO
Di certo c'è che i 5Stelle su questo fronte, come già accaduto per il Tap e la Tav, sono in un vicolo cieco. Dire no ai 36 miliardi del Mes che sono pronti subito e garantirebbero la riforma del sistema sanitario nazionale con un risparmio di 6-7 miliardi, è «pura follia» per tutti gli altri azionisti di maggioranza: Nicola Zingaretti, Matteo Renzi e Roberto Speranza. Il perché è tornato a ricordarlo proprio ieri il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri: «Avere prestiti a tasso zero è attraente perché fa risparmiare sugli interessi».
Però per garbo, Gualtieri segue la linea dettata da Conte: evitare di annunciare fin da ora il sì al Mes. Questo arriverà a inizio luglio, prima del vertice europeo del 9 luglio dove molto probabilmente l'Italia incasserà il recovery plan da 172 miliardi, disponibili però solo il prossimo anno. Per questo al coro di chi chiede l'adesione al Mes si unisce il presidente delle Regioni, Stefano Bonaccini. I governatori, che hanno competenza sul sistema sanitario duramente provato dalla pandemia, hanno infatti bisogno di fondi subito. Senza attendere il 2021.
2. MES, MOSSA DI CONTE: VOTO DEL PARLAMENTO A LUGLIO LA PROTESTA DI LEGA E FDI
Barbara Jerkov per ''Il Messaggero''
La notizia è che il voto sul Mes potrebbe essere ai primi di luglio, prima del Consiglio Ue del 9. Prima di recarsi a Bruxelles, infatti, il premier Giuseppe Conte, salvo colpi di scena, terrà delle comunicazioni in Aula e non una semplice informativa.
(…)
. Sui fondi europei il premier ha fretta, ma non troppa. Le risorse del Mes, spiega una fonte vicina al dossier, possono ad esempio essere anche chieste in maniera retroattiva. Non c'è quindi, da parte di Conte, una volontà di forzare i tempi del dibattito interno alla maggioranza. Un dibattito ancora più esacerbato dal caso interno al Movimento scatenato dalla discesa in campo di Alessandro Di Battista. Dopo Beppe Grillo, tocca a Crimi porre un ulteriore freno ai ribelli. «Mi sono confrontato con Di Battista, è una risorsa preziosa» e «tutti condividiamo la necessità di essere uniti e responsabili in questo momento», sottolinea il «reggente» avvertendo: il dibattito interno è legittimo ma «dovrà realizzarsi con un percorso condiviso». La linea dei vertici, insomma, resta quella della cautela.
STRAPPO
MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI SELFIE IN PIAZZA
Nel frattempo l'intervento di Conte alla Camera registra un ulteriore strappo con le opposizioni. Che, tuttavia, proprio sulla strategia da tenere, tornano a dividersi. FdI sceglie di non presentarsi in Aula sin dal principio dei lavori. «La maggioranza scappa dal voto in Parlamento per non dare a Conte un mandato chiaro durante il Consiglio europeo. Vogliono fare il gioco delle tre carte per non assumersi la responsabilità delle loro scelte», la stoccata di Giorgia Meloni.
La Lega abbandona l'Assemblea dopo l'intervento del capogruppo. FI, invece, resta. «Non è questo il nostro stile», sottolinea Mariastella Gelmini. «Ho invitato le forze di opposizioni a Villa Pamphilj, e mi è stato detto che non andava bene. Mi hanno detto: vieni in Parlamento e si sono allontanate. Sono un po' confuso...», sottolinea Conte, con un filo di sarcasmo. E con una certezza. Sul Mes l'apporto di FI in Aula ci sarà.