Annalisa Cuzzocrea per "la Stampa"
«Le racconto un aneddoto». Paolo Cirino Pomicino ne ha uno adatto a ogni momento politico di questo Paese. Democristiano, più volte ministro - della Funzione pubblica con Ciriaco De Mita, del Bilancio e della programmazione economica, per due volte, con Giulio Andreotti - quello che gli viene in mente oggi, alla vigilia del voto sul presidente della Repubblica, risale al 1989: «Andreotti voleva che al Tesoro andassi io. Gli risposi: «È una sciocchezza, perché non siamo solo dello stesso partito, ma della stessa corrente!».
sergio mattarella emmanuel macron mario draghi
Gli chiesi 24 ore per trovare un'alternativa e gli proposi Guido Carli. A lui l'idea piacque, lo convocò, ma Carli pose una condizione: che al Bilancio e alle Finanze - allora i ministeri erano tre - andassero due politici». Perché Carli era un tecnico, economista, ex governatore della Banca d'Italia. «Fu lui a dire: "Un governo di tecnici o è un'illusione o è un'eversione". E poi fu conseguente: lui presentava il decreto sul Bilancio, il dibattito politico lo lasciava a me. A ognuno il suo mestiere».
Che mestiere deve fare Mario Draghi? Che però, da tecnico, al governo c'è già.
«Tanto Draghi quanto soprattutto Berlusconi dovrebbero considerare che alla presidenza della Repubblica non ci si candida, si viene scelti. Nel caso del presidente del Consiglio, giudico le sue parole alla conferenza stampa di fine anno un'ingenuità dovuta alla breve esperienza politica.
mario draghi sergio mattarella
Anche se ricordo che già molti anni fa partecipava alle riunioni con Carli, me, Rino Formica insieme ad Andrea Monorchio, ragioniere generale dello Stato, e Carlo Azeglio Ciampi, che era governatore della Banca d'Italia. Ai tempi era direttore generale del Tesoro. A quelle riunioni, di politica ne ha ascoltata molta. Ma noi non mettevamo i tecnici alla guida del governo. Cercare persone esterne al Parlamento è un'abitudine della Seconda Repubblica, che lo ha fatto cinque volte».
Comunque Draghi, tecnicamente, non si è auto-candidato.
«Ha detto una cosa: sono stato chiamato per le emergenze e le emergenze sono finite. Ma non è vero. Anche sul Pnrr, i 51 obiettivi - com' è ovvio - sono raggiunti solo sulla carta. Draghi è preziosissimo alla guida del governo. Sul piano dei mercati, la garanzia è il presidente del Consiglio, non il presidente della Repubblica. È lui che va ai vertici dei capi di Stato e di governo, ai G20. I partiti piuttosto dovrebbero rilanciare con un presidente della Repubblica politico che in una fase di debolezza del sistema garantisca l'unità del Paese».
Perché per forza politico?
«Anche se in Italia tutti pensano di saper fare tutto, dal commissario tecnico della nazionale al presidente, la politica ha una sua professionalità che unisce talento ed esperienza. Il profilo che serve deve avere esperienza politica e rapporti internazionali, perché c'è una grande debolezza della democrazia parlamentare».
Teme il caos, visti i numeri e il nervosismo delle forze politiche in Parlamento, davanti a un futuro che prevede un taglio drastico degli eletti?
sergio mattarella mario draghi festa della repubblica 2021
«Quest' elezione ha una differenza sostanziale con tutte quelle che l'hanno preceduta. Per la prima volta, la scelta di un presidente della Repubblica può avere un impatto sul governo. Neanche per le tornate più complicate, Leone che si risolse alla 23esima votazione, Pertini alla 16esima, si è mai verificato uno scenario del genere. Il governo era come scudato».
Come mai?
«Perché all'epoca c'era una logica: una cosa erano le prerogative parlamentari, un'altra quelle del governo. Adesso è tutto più sfumato, i partiti presunti tali, come li chiamo io, non hanno più una cultura di riferimento né una democrazia interna. Le leadership non sono contendibili».
CARLO AZEGLIO CIAMPI E MARIO DRAGHI
Non in tutti.
«Ma sì, in tutti. Quello che non è padronale, il Partito democratico, ha cambiato 7 segretari in 14 anni. E il segretario di turno dura pochissimo. È un'immagine speculare: di là l'eternità, di qua un riciclaggio permanente. Con ben 3 segretari che poi sono usciti dal partito. I gruppi parlamentari non possono che riflettere la frantumazione esistente. Un misto di 112 persone tra Camera e Senato è la testimonianza di questo sfarinamento».
Che rende il quadro ingovernabile?
«È così. Anche all'inizio della seconda Repubblica c'era una sorta di tenuta, come una coda della prima. Ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi una maggioranza convinse Berlusconi. C'erano già le prime influenze internazionali, ma non come oggi: non ricordo editoriali come quelli dell'Economist o del Financial Times che dicono la loro sull'elezione del presidente della Repubblica italiano».
Della candidatura di Silvio Berlusconi cosa pensa?
«Che ha sbagliato e la sua non è ingenuità, ma un errore strategico. Ha fatto bene a un certo punto a dire: ne parleremo al momento opportuno. Ma per quello che abbiamo detto, questo è il tempo degli statisti. Perché è vero che c'è una crisi grave, ma all'interno del corpo politico passato e presente ci sono statisti annegati nella mediocrità del sistema. Bisogna trovarli evitando di mettere paletti. Bisogna azzerare ogni steccato, cercare il miglior garante dell'unità del Paese».
Potrebbe essere una donna, come chiedono in tanti, non si sa con quanta convinzione?
«Si ricordi un mantra della Dc: i leader politici non si eleggono, si riconoscono. Mi può dire un leader politico donna? Non lo è certo la mia amica Paola Severino, che è bravissima, ma fa un altro mestiere. Ce n'è solo una e non ha nulla a che fare con questa corsa: Giorgia Meloni».
Sergio Mattarella è stato un ottimo presidente, ma non era un leader.
«È stato segretario provinciale della Dc a Palermo, deputato per venti anni. Quello del parlamentare è un esercizio necessario: come si fa se non si ha mai avuto un'esperienza da legislatore? Anche per capire l'impatto delle scelte sulla vita reale delle persone».
Ciampi non era un legislatore.
«Ed è stato un errore nominarlo. Certo, ha rilanciato l'inno, ma non si può dire che abbia avuto prove politiche difficili come quelle che hanno dovuto affrontare Scalfaro, Napolitano e lo stesso Mattarella».
Insomma tecnico no, donna no. Ma perché Draghi dovrebbe restare presidente del Consiglio in questo scampolo di legislatura già così tormentato?
«Credo che Draghi sia essenziale per il Paese. Le dico di più, dovrebbe fare come Guido Carli, che era diventato senatore come indipendente nella Dc, dove c'entrava come il cavolo a merenda. Non bisogna imbalsamarlo. Dopo le prossime politiche - una volta in Parlamento - potrebbe essere richiamato alla guida del governo o andare alla guida dell'Europa. Questo aiuterebbe a far evolvere il quadro».
Un presidente del Consiglio di unità nazionale come può candidarsi con una parte? «Ma mica qualcuno ha mai immaginato che Carli fosse democristiano! Un tempo c'erano grandi partiti che si facevano carico di queste scelte. Le tifoserie, le presunte convenienze, sono veleno. Mettere un'energia come quella di Draghi al Quirinale significa toglierla all'Europa e alla guida del Paese».
Ma se fosse l'unico punto di caduta, e a Palazzo Chigi andasse un altro tecnico per un anno?
«Allora chiudiamo il Parlamento per qualche anno, tanto che ci sta a fare?».