Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
C’è una bolla speculativa che minaccia di esplodere provocando vari danni nel nostro Paese. La bolla si chiama renzismo, fenomeno mediatico che è stato gonfiato ad arte da chi aveva il compito di vigilare e invece ha preferito, per calcolo o incapacità, chiudere non solo un occhio ma tutti e due. Il renzismo è un atteggiamento di totale fiducia che ha colto gli italiani dopo anni di delusioni. Senza che nessuno li mettesse in guardia, gli elettori si sono dunque affidati ciecamente alle promesse del presidente del Consiglio, accogliendo senza perplessità ogni sua dichiarazione.
Risultato, dopo sei mesi di governo con la disoccupazione alle stelle, il debito pubblico fuori controllo, un’inflazione che ci ha fatto tornare indietro di 50 anni e un Pil in discesa, la fiducia in Renzi comincia a vacillare e con essa l’idea che bastasse un rottamatore per rottamare la crisi. I segnali che ci fanno intravedere il rischio di un’esplosione della bolla speculativa sono più d’uno e tutti portano il marchio della disillusione.
Come spesso accade, anche perché quando ha un’idea in testa non si tiene un cecio in bocca, il primo a parlare è stato Diego Della Valle, cioè l’imprenditore che aveva seguito con gioia la discesa in campo del pifferaio magico di Firenze. Il padrone delle Tod’s all’improvviso, mentre ancora Renzi aveva il vento in poppa perché non erano stati resi noti i dati riguardanti il Prodotto interno lordo, se n’è uscito con un’invettiva contro i riformatori al gelato, accusando il premier di voler cambiare la Costituzione senza avere rispetto del sistema di pesi e contrappesi messo a punto dall’Assemblea costituente.
Poteva sembrare un’invettiva dettata da rancori personali, magari dalla stangata sulle aziende ferroviarie che rischia di mettere in ginocchio una delle società dell’imprenditore a pallini. E invece, dopo la sparata di Della Valle ne sono arrivate altre e quasi tutte di gente che sei mesi fa aveva gratificato il capo del governo di un’ampia apertura di credito.
Prima Giorgio Squinzi, il quale da presidente di Confindustria aveva salutato Enrico Letta con la carta vetrata, minacciando di rivolgersi direttamente al capo dello Stato. Un calcio negli stinchi cui era seguito un incontro proprio con Renzi, non ancora premier ma già segretario del Partito democratico.
Ma se quella di Squinzi allora era sembrata un’investitura da parte del capo degli imprenditori, qualche giorno fa è arrivata la sconfessione, con un discorso molto critico sulla situazione economica e i famosi 80 euro. Come se non bastasse, si è aggiunta la botta di Sergio Marchionne, un altro che aveva guardato a Renzi con grande entusiasmo. Al manager con il pullover non è piaciuto il presidente del Consiglio gelataio e non ne ha fatto mistero, spiegando che non bastano le battute a far ripartire un Paese.
Tre imprenditori e tutti di primo piano già significano qualcosa e cioè che l’industria e la finanza cominciano a non credere più nel cambiamento di verso promesso dal premier. Tuttavia a questa presa di distanza se ne sono aggiunte altre, quasi sempre di persone che in principio avevano creduto nel progetto di rinnovamento dell’ex sindaco. Luca Ricolfi, sociologo di sinistra e autore di molti ragionati editoriali sulla Stampa e Panorama, ha confessato sul giornale piemontese il proprio pessimismo, spiegando che non si risolve una crisi sperando semplicemente che passi.
Per Ricolfi aspettare confidando nel fatto che prima o poi torni il sole e la ripresa rimetta le cose a posto è un’illusione che rischia di rivelarsi catastrofica. Previsioni fosche si intravedevano anche sulla prima pagina del Corriere della Sera, a commento del tanto sbandierato pacchetto di misure economiche soprannominato «Sblocca Italia».
Dario Di Vico, l’editorialista cui è stato affidato il compito di commentare, non ha nascosto la delusione, lasciando trasparire anche un sospetto, ossia che il presidente del Consiglio, invece di pensare a come far uscire l’Italia dalla crisi, pensi piuttosto a come farla entrare al più presto in campagna elettorale, portando il Paese alle urne già nel 2015.
Insomma, altro che mille giorni: qui l’ex rottamatore sembra pensare ai prossimi cento. I dubbi che ci hanno colpito di più sono però quelli di Giuliano Ferrara, cioè di uno che fin dal principio ha sostenuto il renzismo e per giunta stando seduto sull’altra sponda e non su quella comoda della sinistra.
Da renzista devoto qual è, ieri l’Elefantino ha lanciato un barrito, scrivendo sul Foglio dei Fogli un editoriale in cui racconta un presidente del Consiglio in trappola, vittima degli stessi nemici e degli stessi errori di Berlusconi. «Non vorrei che tutti gli elogi alle grandi doti di comunicatore, per Renzi oggi come per Berlusconi ieri, alludano all’artista compiaciuto di sé che prende il posto dello statista». Da statista a ballista. E se le balle scoppiano fanno male.