Francesco Bechis per www.formiche.net
E se la Cina fosse la carta vincente? La campagna per la rielezione alle presidenziali di novembre non sarà una passeggiata di salute per Donald Trump. Il suo più grande cavallo di battaglia, l’economia, inizia a perdere colpi. La pandemia del Covid-19 ha riportato indietro le lancette, vanificando in pochi mesi una parte del miracolo economico americano di cui Trump ha fatto una bandiera. Dal manifatturiero al settore agricolo, con il commercio congelato, gli investimenti esteri a picco e una disoccupazione rampante la strada che porta ancora una volta allo Studio Ovale è più in salita per il Tycoon.
Una via d’uscita c’è, spiega sul Wall Street Journal Walter Russell Mead, uno dei più noti storici e politologi americani: puntare sulla Cina. Perché? Per tre semplici ragioni.
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Punto primo: “sempre più americani disapprovano il suo comportamento”. Da quando la pandemia ha solcato l’Oceano ed è entrata nelle vite di tutti i giorni degli americani, l’immagine pubblica del Dragone ha cominciato a perdere colpi. Secondo un recente sondaggio di Gallup, il 67% degli americani guarda con diffidenza a Pechino, un numero record. Gli stessi sentimenti fervono nei palazzi della politica. A Capitol Hill l’idea che la Cina sia una minaccia per gli Usa è trasversale: lo pensa il 68% dei repubblicani e il 62% dei democratici.
Secondo: Trump ha bisogno di un avversario per reindossare la maschera dell’anti-establishment al grido di “drain the swamp“. “La lunga storia d’amore con la Cina dell’establishment di politica estera ed economico offre a Trump qualcosa contro cui correre”, scrive Russell Mead. Cullate dalla mal riposta convinzione che in Cina stesse prendendo vita una democrazia doc, le élites americane “hanno permesso a Pechino di barare nella competizione economica con gli Stati Uniti”, dice lo storico.
“La Cina ha tenuto chiusi i suoi mercati, ha dato sussidi di Stato alle aziende cinesi, e rubato proprietà intellettuale”. Il risultato? “Milioni di posti di lavoro americani sono andati in fumo; la Cina è diventata ancora più ostile e comunista; e, oltre al danno la beffa, gli Stati Uniti ora devono arrancare a produrre medicine ed equipaggiamento di protezione che prima si procuravano dalla Cina, per combattere un virus che la censura di Pechino ha riversato nel mondo”.
Sulla Cina, dice Russell Mead, Trump “ci aveva visto giusto”, e questo non passerà inosservato all’elettorato. Certo, una nuova manciata di sanzioni contro la Città Proibita e un escalation nei toni non basteranno. Per fare della questione cinese una formidabile arma elettorale, Trump deve puntare al ventre molle dei democratici, spiega lo storico. Il team del presidente uscente sta “facendo tutto quel che può” per mettere sotto i riflettori i rapporti del figlio di Joe Biden, Hunter, con la Cina. “Ma una marea di altri importanti democratici ha fatto soldi laggiù, supportato le politiche commerciali che hanno fatto troppe concessioni senza mettere Pechino di fronte alle sue responsabilità, o lodato il governo cinese con modi che sarebbe difficile anche solo vedere in una campagna oggi”.
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Giocandosi la carta cinese contro Biden, prosegue Russell Mead, Trump potrebbe attirare dalla sua un elettorato con cui ha già iniziato a flirtare, quello di Bernie Sanders. E con lui la schiera di “blue-collars” che con Pechino ha un conto in sospeso e non vede l’ora che il governo riporti a casa le migliaia di aziende che hanno traslocato nell’ex Celeste Impero.
livestream di joe biden con bernie sanders
Ci sono pochi dubbi sull’effetto boomerang che la gestione iniziale dell’emergenza avrà sulla rielezione di Trump. Per recuperare terreno, ha bisogno di “correre per qualcosa”. L’asso cinese può mettere un’ipoteca su altri quattro anni alla Casa Bianca.