Giuseppe Colombo, Andrea Greco per repubblica.it- Estratti
GIANCARLO GIORGETTI - GIORGIA MELONI
Il prossimo gioiello di Stato è pronto per essere esposto in vetrina. Tocca a Poste. Il governo accarezza l’idea di cedere tra il 10 e il 20% della cassaforte degli italiani, dove sono contenuti più di 300 miliardi di risparmi. Vendere per incassare, fino a due miliardi e mezzo. E concatenare così il piano di privatizzazioni da 20 miliardi o “pari ad almeno l’1% del Pil”, come annunciò a settembre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Eni, Poste, forse ancora Mps dopo la tranche lasciata andare a novembre. Tutte quote di minoranza, che non minano il controllo pubblico su aziende ritenute strategiche, né impattano sulla possibilità di definirne le strategie.
GIANCARLO GIORGETTI - GIORGIA MELONI
Le due questioni si intersecano, per un governo che rivendica la sua natura politica e che politico è nella scelta di provare a dare un segnale di responsabilità sui conti all’Europa e ai mercati, ma anche di imprimere il marchio della destra sulla direzione di marcia.
Il perimetro, però, è scivoloso, a causa di un Pil che quest’anno potrebbe crescere meno del previsto, collocandosi sotto la soglia psicologica dell’1%. Una mannaia per l’equilibrio con il debito e per il rispetto degli impegni presi con Bruxelles.
Per questo i gioielli di famiglia tornano utili. Senza ansia e fretta da svendita, ma con la consapevolezza che gli appetiti del mercato vanno saziati appena prendono forma.
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In ballo non ci sono briciole: in un conto a spanne, le vendite potrebbero fruttare fino a 5 miliardi solo nel 2024, come prima fetta di rilievo del piano di privatizzazioni che si estende fino al 2026.
Il buon andamento dei mercati, oltre alle performance di redditività consolidate nel 2023 dalla gran parte delle grandi aziende a partecipazione pubblica, offre una qualche agibilità. Secondo quel che trapela dietro le quinte, ci sono tempi tecnici di uno-due mesi, prima di avviare un tris di operazioni che tuttavia sono già ben inquadrate nelle riunioni tra Palazzo Chigi, via XX Settembre e fidati consulenti legal-finanziari. Vediamo.
MATTEO DEL FANTE POSTE ENERGIA
Poste Italiane. La vendita di una tranche robusta è l’operazione più lineare e scontata a disposizione. Sia perché l’azienda che fu delle lettere ha ancora buone prospettive di crescita - e appetibilità - per gli investitori, sia perché è stata l’ultima grande quotata tra le ex partecipate: tra Cdp (35%) e Tesoro (29,3%) la quota pubblica è ancora del 64,3%.
Diverse fonti indicano una forchetta tra il 10 e il 20% di azioni in possibile vendita. L’operazione potrebbe assumere la forma di un collocamento accelerato, simile a quello visto due mesi fa sul 25% di Mps. Ai prezzi attuali l’incasso del Tesoro sarebbe compreso tra 1,32 e 2,64 miliardi.
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giancarlo giorgetti giorgia meloni
Eni. Il colosso energetico vale 50 miliardi in Borsa, e il Tesoro (con Cdp) ha il 32,7%. La quota tra qualche settimana salirà al 34% circa, per effetto del riacquisto di azioni che l’azienda ha in corso. Terminato il riacquisto e calcolati i nuovi pesi, si stima di cedere in Borsa un 4% del colosso, incassando 2 miliardi circa per rimanere al 30% di controllo “pubblico”.
Mps. Il collocamento di novembre, quando il Tesoro incassò 920 milioni, non ha chiuso i giochi. L’impegno con l’Ue è di riprivatizzare il Monte nel 2024, e al Tesoro resta un 39%. Anche se non è tramontata l’idea di un “terzo polo” con una banca italiana, la tentazione di vendere ancora azioni è forte.
Potrebbe concretizzarsi dal 21 febbraio, trascorsi i 90 giorni di impegno del Mef a non cedere altre azioni. Per quella data la banca avrà reso noti i conti, attesi brillanti, così da invogliare nuovi investitori a Siena.
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