Nicola Tiepolo per la Verità
Per evitare di inciampare sull' idolatrato valore della parità, il movimento Me Too ha infine distrutto anche la carriera di una donna, caduta senza appello sotto l' accusa delle molestie sessuali. Finalmente anche l' orco si è liberato degli stereotipi di genere. Il partito democratico è stato l' esecutore materiale dell' assassinio politico di Andrea Ramsey, candidata al parlamento dello stato del Kansas che contendeva - con discrete possibilità di successo - il seggio del repubblicano Kevin Yoder alle elezioni del prossimo anno.
Sposata con un veterano del Vietnam da cui ha avuto due figli ormai adulti, Ramsey, 57 anni, è un avvocato che ha lavorato a lungo nel settore privato. Quando era alla guida delle risorse umane di una azienda locale nel settore medico, un impiegato di nome Gary Funkhouser ha denunciato l' azienda dopo essere stato licenziato, spiegando che il reale motivo della cacciata era aver rifiutato le avance sessuali di Ramsey. Secondo la sua versione, lei gli ha chiesto di andare a letto, ha incassato il suo rifiuto e secondo la più classica delle dinamiche di potere, la Weinstein in gonnella lo ha fatto fuori.
Il caso, risalente al 2005, è stato archiviato, perché la vittima a un certo punto ha ritirato spontaneamente la denuncia. I guardiani della nuova rivoluzione sessuale sono però abilissimi paleontologi, capaci di rinvenire anche la minima traccia di vecchi scheletri negli armadi, e quando è partita la funerea danza contro il predatore la vicenda rovesciata di Ramsey è immediatamente tornata alla luce. La questione è arrivata nelle mani del partito democratico che, con un certo imbarazzo, ha stabilito che la molestia è più importante dell' identità del molestatore, e ha scaricato la candidata. Il Democratic Congressional Campaign Committee (Dccc), la sezione del partito che eroga i fondi per le campagne elettorali, ha chiuso immediatamente il rubinetto, e la portavoce Meredith Kelly ha spiegato: «Tutti i candidati devono attenersi agli standard di comportamento più alti. Se uno è colpevole di molestie o di stupro, quella persona non deve occupare un ufficio pubblico».
Ramsey, prima vittima donna dell' ondata femminile, non l' ha presa bene. Su Facebook ha spiegato la sua versione dei fatti, negando ogni condotta sessualmente inappropriata, come si usa dire nella neolingua delle molestie. Ha scritto che quella denuncia rappresentava chiaramente il tentativo pretestuoso di un impiegato arrabbiato per il licenziamento di ottenere un risarcimento, e che il fatto che la vittima abbia denunciato l' azienda, e non lei personalmente, le ha impedito di difendere la propria reputazione in tribunale dalle infamanti. Del resto, la commissione delle pari opportunità che si è occupata del caso ha deciso di non prendere provvedimenti, e l' uomo ha poi ritirato la querela. Ma queste non sono garanzie sufficienti per il partito democratico, che per seguire fino in fondo la logica della punizione della violenza sul posto di lavoro si è risolto in un gesto esemplare e paradossale.
Ed ecco che Ramsey, desiderosa di dare il suo contributo nella sua lotta al patriarcato in uno Stato repubblicano dove le donne non occupano molti posti apicali, è stata tradita dal partito che si è intestato la battaglia per i diritti femminili. Alla ex candidata non è sfuggito il cortocircuito di un movimento che in nome della giustizia promuove giustizialismo diffuso: «Siamo, come paese, in un momento in cui la giustizia sommaria ha preso il posto dell' analisi accurata, delle sfumature e del giusto processo. Le garanzie della legge che amo, quelle che mi hanno portato nel campo della legge, sono totalmente negate». La prima vittima donna dell' inquisizione matriarcale ha sperimentato il lato oscuro del movimento Me Too, che si sostiene sulla convinzione che sia necessario una temporanea sospensione o allentamento delle garanzie civili e dei diritti processuali per permettere di riequilibrare il campo di gioco, che dopo millenni di patriarcato furente pende in favore del maschio prevaricatore.
Questa idea ha portato, ad esempio, alla immediata cancellazione di ogni distinzione di gravità quando si parla di misfatti a sfondo sessuale. Quando si varca la linea rossa, non bisogna fare distinzioni fra una palpata non gradita e uno stupro. Lo ha spiegato la senatrice Kristen Gillibrand, che sta cercando di far leva sul movimento Me Too per crearsi un profilo spendibile alle prossime presidenziali: «Non dovremmo spiegare le gradazioni fra assalto, molestia e palpeggiamento.
Che messaggio mandiamo ai nostri figli e alle nostre figlie quando accettiamo di fare distinzioni?». Il caso di cui parlava era quello del senatore democratico Al Franken, sfiduciato dal partito e costretto alle dimissioni per aver baciato con la lingua e toccato il seno (o forse faceva solo il gesto di toccarlo?) a un' attrice con cui inscenava uno sketch per intrattenere le truppe americane al fronte.
Franken ha subito spiegato che un regolare processo avrebbe dimostrato la sua innocenza, e dapprima i colleghi hanno speso parole severe ma garantiste. Nel giro di qualche giorno, 31 senatori hanno chiesto le sue dimissioni immediate: è stato lì che il partito democratico ha deciso di abbracciare la linea dura.
Così dura che in questi giorni alcuni degli accusatori di sinistra di Franken si stanno ricredendo. È stata l' adozione di questa presunzione di colpevolezza che ha portato nella polvere anche Ramsey, che non è stata salvata dal fatto di essere donna. E qui c' è un altro inghippo. Nello spirito del Me Too, non di dovrebbe credere indistintamente a tutte le accuse di tutte le donne?
Non è il genere della vittima ciò che garantisce la veridicità del suo racconto? Perché la regola fissata per sempre da Asia Argento e dalle migliaia di accusatrici di porci potenti non s' applica alla candidata del Kansas. Forse, in tempo di genderfluidità e di libera interpretazione dell' identità sessuale, al partito democratico del Kansas dev' essere sembrato troppo poco progressista difendere una donna in quanto donna.