Marco Demarco per il Corriere della Sera
Dopo il no secco di Virginia Raggi e Chiara Appendino, arriva, ed è una sorpresa, anche il sì condizionato di Giuseppe Sala. Si parla dell' elezione dei 21 sindaci-senatori prevista dalla Costituzione riformata. Ed ecco cosa dice il primo cittadino di Milano: «Io lo farei, sarebbe una cosa giusta sia per rappresentare le nostre istanze sia per essere certo che diventino dibattito parlamentare. Ma andrei a Roma un giorno alla settimana, non di più, perché in primis devo fare il sindaco».
Conclusione lapidaria: «Altrimenti, non potrei».
È un duro colpo alla credibilità della costruenda seconda Camera. Prima di Sala, dal fronte del No, ma con identiche motivazioni di merito, era venuta la dichiarazione congiunta di Raggi e Appendino: «No, grazie. Se elette, rinunceremmo.
Abbiamo già fin troppo da fare a Roma e Torino, e nelle rispettive aree metropolitane». No ai doppi e tripli incarichi. Ce n' è abbastanza, insomma, per dire che un nuovo caso referendario è all' ordine del giorno. Il colmo, però, è che nessuno dei tre, né Raggi né Appendino né Sala, è nelle condizioni di essere eletto.
Salvo salti mortali, infatti, mai potrà diventare senatore un sindaco di un partito di minoranza in Regione. È appunto il caso di Raggi, perché nel Lazio i Cinquestelle hanno 7 seggi rispetto ai 28 del centrosinistra; di Appendino (8 consiglieri contro i 32 di Chiamparino); e di Sala (22 contro i 49 del centrodestra).
Ora, poiché i nuovi senatori sono eletti dai consigli regionali, il paradosso è bell' e servito. Roma, Milano e Torino non saranno rappresentate. A meno che nelle Regioni, dove si eleggono anche 74 consiglieri-senatori, non si proceda a mediazioni politiche. Alias, inciuci.
RAGGI E APPENDINO IN CAMPIDOGLIO
Il caso più clamoroso è però quello di Luigi de Magistris, del tutto privo di riferimenti regionali. La Campania dovrebbe mandare in Senato 8 consiglieri e una fascia tricolore. Data la maggioranza di centrosinistra che appoggia De Luca, potrà essere eletto il sindaco di Salerno, Enzo Napoli, fedelissimo del governatore. O quello di Ercolano, Ciro Bonaiuto, vicino alla ministra Boschi. Ma mai e poi mai sarà la volta del sindaco di Napoli, che tra l' altro non avrebbe nulla da «scambiare».
MARIA ELENA BOSCHI GIUSEPPE SALA
Una soluzione, per tutti, potrebbe venire dalla futura legge elettorale per il Senato a cui la Costituzione rimanda. Ma attenzione. Il riformatore ha volutamente escluso l' obbligo di eleggere i sindaci delle città capoluogo. E se e quando si farà una legge di diverso orientamento, questa mai potrebbe essere applicata prima delle nuove elezioni regionali. Che in Campania, per esempio, si terranno nel 2020. Fino ad allora varranno le disposizioni transitorie.
E sulla base di queste, per la gioia dei detrattori, de Magistris non ha scampo. Inoltre, perché Dario Nardella e Antonio Decaro, rispettivamente sindaci di Firenze e Bari, cioè di città con maggioranze omogenee a quelle regionali, sì e lui no? Non c' è risposta. Un tempo si sarebbe potuto dire che è così perché, come il brutto anatroccolo, de Magistris è piccolo e nero. E invece è pure «arancione».