Liana Milella per “la Repubblica”
Giù le mani dal segreto investigativo. Che, codici alla mano, è nelle mani della sola magistratura. Arriva da Torino e dai procuratori di tutto il Piemonte un netto “altolà” alle polizie e alla possibilità di trasmettere ai capi – e quindi, inevitabilmente, anche ai responsabili politici – i rapporti con le notizie di reato.
La circolare del procuratore di Torino Armando Spataro viene condivisa da tutti i colleghi. Sarà il capo dell’ufficio a chiedere formalmente il rispetto del segreto. Le polizie potranno controbattere, ma qualora dovessero insistere in quello che Spataro e i suoi colleghi considerano «un vulnus», un’aperta violazione del segreto delle indagini, non resterebbe che la via di un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale.
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Che succede tra toghe e investigatori? Tutto nasce dal decreto legislativo del 19 agosto 2016 sulle polizie che, all’ultimo articolo, nelle «disposizioni finali e transitorie», posiziona una “bomba”, l’obbligo di trasmettere alla scala gerarchica i rapporti inviati alla magistratura «indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale». Giusto quelli che mettono in capo al solo pm il coordinamento delle indagini.
Una norma «singolare» che da subito crea grande allarme nella magistratura. Il capo della polizia Franco Gabrielli, a dicembre, emana una circolare in cui cerca di limitare i danni e insiste sul solo coordinamento, ma questo non basta alle toghe. Preoccupate dalle scontate conseguenze del decreto di agosto: un’indagine delicata che riguarda esponenti politici potrebbe immediatamente finire sul tavolo del ministro, risalendo per la scala gerachica.
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A Torino si muove Spataro. Discute con i suoi pm. Scrive una circolare in cui si paventa «il rischio di compromettere il segreto investigativo» e in cui si ribadisce che «il coordinamento è esercitato in via esclusiva dal pubblico ministero». Se, violando queste regole, la polizia trasmette notizie viola le regole e danneggia e le indagini. Per questo i singoli pm dovranno segnalare al capo dell’ufficio le notizie da tenere rigorosamente riservate, il capo lo comunicherà alla polizia che potrà opporre le sue ragioni. Ma qualora dovesse insistere nella trasmissione dei rapporti non resterebbe per i pm che la via della Consulta.
Una linea motivata e netta. Pienamente condivisa dal procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo che il primo febbraio ha riunito i procuratori del Piemonte. Tutti d’accordo nel niet a una norma che, già a dicembre, Spataro non aveva esitato a definire viziata «da profili di incostituzionalità» per il contrasto con le altre norme del codice.
La battaglia dei magistrati piemontesi contro il decreto di agosto è destinata a “camminare” verso Roma. Il pg Saluzzo si sta preparando a scrivere al ministro della Giustizia Andrea Orlando per segnalare l’anomalia di una norma che rischia di danneggiare profondamente il segreto di indagine e quindi le indagini stesse. Pur interpretato in chiave soft da Gabrielli, il comma 5 dell’articolo 18 apre un varco incomprensibile sulle regole condivise del segreto investigativo.