Daniel Mosseri per “il Giornale”
Le prime proteste sono iniziate martedì scorso, quando alcune centinaia di persone si sono assembrate su un ponte sul Danubio, dove si affaccia anche l'Országház, il fastoso palazzo gotico del Parlamento. Allora i manifestanti avevano bloccato il traffico nel centro di Budapest per tre ore. Ieri invece a dimostrare contro il governo del premier Viktor Orbán erano alcune migliaia di ungheresi nel quinto giorno consecutivo di proteste.
A portare i magiari per strada è una nuova legge voluta dal primo ministro nazionalista e conservatore. Il provvedimento è destinato ad appesantire il carico fiscale per centinaia di migliaia di commercianti e lavoratori autonomi, sostengono i manifestanti che hanno innalzato cartelli e urlato slogan pesanti all'indirizzo del capo del governo.
Le proteste segnano un inaspettato calo di popolarità per Orbán, la cui Unione civica ungherese (Fidesz) ha vinto con un ampio margine le elezioni legislative lo scorso aprile. In molti, soprattutto in Europa, avevano sperato nella vittoria dello sfidante di Orbán, quel Peter Marki-Zay che oggi cerca di cavalcare le proteste, postosi alla guida di una eterogenea coalizione di centristi, socialdemocratici, ecologisti ed ex estremisti di destra.
Tre mesi fa, invece, il premier al potere senza soluzione di continuità dal 2010 è stato confermato con un ampio 52% dei consensi. Orbán aveva condotto l'ennesima campagna elettorale in rottura con l'Unione europea, dimostrando l'indisponibilità di un'Ungheria dipendente dagli idrocarburi russi a rompere con la Russia di Vladimir Putin.
Curiosamente il suo governo affronta adesso la più forte ondata di proteste proprio a causa dell'energia: il parlamento controllato da Fidesz ha fatto piazza pulita delle categorie protette stabilendo che chi consumi più energia della media dovrà pagarla al prezzo di mercato e non più sulle base delle tariffe sovvenzionate dallo stato. A poco è servito l'intervento del primo ministro venerdì alla radio che ha difeso la legge come «buona e necessaria».
Due giorni prima il governo aveva dichiarato lo «stato di emergenza energetica», annunciando un maggior ricorso al carbone e invitando le famiglie a moderare i consumi. A fine maggio Orbán ha anche bloccato il progetto dell'Ue per un embargo totale e immediato contro il petrolio russo.
L'atteggiamento controcorrente di Budapest non ha però impedito un forte indebolimento del fiorino alla vigilia del conflitto ne servivano 367 per acquistare un euro, oggi ce ne vogliono 410. Associato all'aumento di gas e petrolio sul mercato globale, il calo della valuta nazionale ha precipitato l'Ungheria in una crisi inflazionistica che sta costando a Orbán molta popolarità.
Secondo il Központi Statisztikai Hivatal (l'ente nazionale di statistica), il tasso d'inflazione in Ungheria è salito all'11,7% annuo a giugno, in netta crescita rispetto al 10,7% di maggio e al 9,5% di aprile. A fine gennaio il governo ungherese aveva imposto un tetto ai prezzi di sei prodotti alimentari (zucchero semolato, farina di grano, olio di semi di girasole, carne di maiale, petto di pollo e latte) fra il 1 febbraio e il 1 maggio 2022.
Annunciata dallo stesso Orbán, la misura ha aiutato il premier a vincere le elezioni.
Sopravvivere agli scossoni economici di una guerra vicinissima Ungheria e Ucraina sono paesi confinanti è una nuova sfida.
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