Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
Parla di passaggio “storico”, e forse esagera. Ma per Giorgia Meloni il summit nella capitale tedesca rappresenta comunque un passo avanti importante nelle relazioni bilaterali con la Germania. Appena però la premier cerca di aprire un varco sul dossier più scomodo, quello del Patto di Stabilità, deve scontrarsi con il muro di rigore di Olaf Scholz.
I due leader trattano, nel chiuso della Cancelleria. Da posizioni distanti. Con obiettivi differenti. E con una precondizione che rende ogni mediazione comunque non definitiva: Berlino deve prima chiudere un accordo con Parigi, soltanto dopo potrà eventualmente assorbire alcune delle richieste italiane.
È uno snodo ad alto rischio, per l’esecutivo di destra. Non a caso, Meloni decide di indicarlo in pubblico: «La Germania richiama al rientro del debito – dice davanti a Scholz - Cerchiamo piano piano punti di incontro. Lo facciamo per raggiungere una soluzione non dico semplice, ma che renda almeno possibile rispettare il Patto». Come a dire: a queste condizioni, un’intesa entro l’Ecofin dell’8 dicembre sembra lontana.
Faccia a faccia con il Cancelliere, poi, si espone anche
di più. «Io – è il senso del suo ragionamento – non posso firmare un Patto che non tuteli gli investimenti». È il cuore della richiesta italiana: scorporare quelli previsti dal Pnrr – in particolare su green e digitale – dal calcolo del deficit. Concetti che certo non entusiasmano Berlino.
emmanuel macron giorgia meloni
Eppure, si tratta (e intanto sull’acquisizione di Ita da parte di Lufthansa Meloni annuncia che la settimana prossima invierà la notifica a Bruxelles, auspicando una «risposta immediata »). Si media, come tenta di fare Giancarlo Giorgetti. Viene ricevuto dal ministro delle Finanze tedesco, poi si confida con i cronisti, facendo mostra di ottimismo: «Scholz è stato chiarissimo, avete visto? I fatti sono i fatti».
Si riferisce alla posizione non troppo dura espressa pubblicamente dal Cancelliere, che forse anche per ragioni di ospitalità sceglie di non forzare sul tasto del rigore: «Una soluzione non è mai stata così vicina. Vogliamo che i criteri di stabilità abbiano un ruolo importante, ma non possiamo costringere nessun Paese in un programma di austerità».
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Quando la premier scende nel concreto, d’altra parte, appare evidente la lentezza degli avanzamenti sul dossier. Come detto, insiste innanzitutto sulla richiesta di scorporare gli investimenti del Pnrr dal calcolo del deficit. E, più in generale, reclama parametri meno stringenti sul deficit e sul debito, il vero buco nero dei conti pubblici italiani: «Tutto è collegato – ammette la leader – Non posso dare numeri possibili di rientro del debito, se non so cosa accade agli investimenti».
Di certo, Roma spinge per una maggiore flessibilità sul deficit, oggi fissato al 5,3%: è un dato che sfora di molto i vecchi parametri del 3% , figurarsi le eventuali nuove regole più stringenti ipotizzate nelle bozze del nuovo Patto, anche se nell’ambito di un percorso pluriennale di rientro. Si tratta di un’ipoteca sul futuro, perché renderebbe anche le prossime manovre magre e non espansive.
Un incubo politico, per Palazzo Chigi. Per questo, la leader tratta e nel frattempo brandisce anche l’arma del veto. E attende anche di capire cosa riuscirà a strappare Macron con Scholz. […]
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