Alessandro Barbera per "la Stampa"
«Mettetevi la cintura di sicurezza, ci stiamo preparando a decollare». Ai partiti in cerca del nome giusto per il Quirinale val la pena citare la frase attribuita a Nathan Sheets, capo economista di Citigroup. Sheets non pensa alle convulse trattative dei palazzi romani, bensì alle decisioni della banca centrale americana, pronta ad alzare i tassi di interesse quattro volte entro la fine dell'anno. E però in queste ore nelle grandi banche d'affari si parla molto anche del terzo debito pubblico del pianeta. Ieri quasi tutti gli analisti hanno incontrato riservatamente i propri clienti per capire che ne sarà del governo Draghi e chi sostituirà Sergio Mattarella.
Una delle tante call si è svolta negli uffici di Londra di Goldman Sachs, la più grande di tutte e in cui - per una breve stagione - ha lavorato lo stesso Draghi. Ciò che i ricchi clienti di Goldman hanno compreso dalla conversazione si può riassumere liberamente così: i partiti non sanno che pesci pigliare, e questo mette a rischio la tenuta del governo. Ecco cosa scrive il rapporto inviato ventiquattro ore prima della chiamata: «La mancanza di chiarezza sulle intenzioni di Cinque Stelle, Lega e Forza Italia è il principale impedimento alla nomina di Draghi al Quirinale».
Goldman prende atto dei fatti, ma ribadisce di non essere entusiasta della sua eventuale ascesa al Colle. «Lo scenario migliore, in termini di rischi macroeconomici, sarebbe la rielezione di Mattarella, o la scelta di un'altra personalità» che permetta all'ex capo della Bce «di restare a Palazzo Chigi».
Lo scenario «più incerto» è quello invece «in cui Draghi diventa presidente, e che imponga di trovare un nuovo premier e un nuovo accordo di governo». A differenza di altri che hanno deciso di andare in favor di vento, Goldman resta a quanto scritto la prima volta il 6 gennaio. «Non è chiaro come potrebbe nascere il nuovo governo». Di più: è difficile «identificare il percorso credibile che porta a quel governo».
Per dirla ancor più in sintesi: chiunque fosse il successore scelto il giorno dopo la nomina di Draghi, e qualunque fosse la squadra dei ministri, a Goldman sono scettici sul fatto che possa portare in fondo il lavoro di attuazione del Recovery Plan. Dire che lo scenario di Draghi al Quirinale sia visto come una iattura sarebbe troppo. Né c'è da essere preoccupati per la tenuta dei rendimenti dei titoli di Stato, su cui Goldman prudentemente non si esprime. Di certo qui c'è la consapevolezza che in Italia non è stato introdotto il presidenzialismo per decreto, e che l'ex capo della Bce dal Quirinale non farebbe miracoli. Per il momento l'unica cosa che nel medio termine minaccia il debito italiano è ciò che accade dall'altra parte dell'Atlantico.
L'appena riconfermato capo della Federal Reserve Jerome Powell ha fatto capire che di qui a poco agirà con forza, aumentando i tassi. Finora a frenarlo sono stati i dati (deboli) di previsione sul primo trimestre di quest' anno, condizionati dall'ondata di Omicron. Ma la curva risalirà in fretta, e l'anno scorso il Pil ha segnato +5,7 per cento, il livello più alto dal 1984, quando nelle stanze della Casa Bianca si aggirava uno dei più noti cowboy di Hollywood.
Fra una settimana a Francoforte si riuniranno i meno allegri diciannove governatori delle banche centrali dell'area euro, e dovranno decidere se seguire la linea di comunicazione dei colleghi americani o tenere il punto ancora per un po'. Il problema è che l'inflazione galoppa anche in Europa, e ormai fra i nordici c'è voglia di dire basta alla moneta a costo zero. Il differenziale di rendimento fra Btp italiani e Bund tedeschi ieri ha avuto una piccola fiammata a 145 punti, poi è rientrato a 134. Per chi ne capisce di queste cose, un avvertimento a futura memoria a chi gioca al Quirinal Game.