Estratto dell’articolo di Alberto Mattioli per “La Stampa”
palco reale don carlo prima della scala
Adesso sono tutti parnassiani, esteti finissimi, teorici dell'arte per l'arte, da non sporcare con le contingenze della politica e le urgenze della polemica. Le reazioni della destra di governo alle urla antifasciste alla prima della Scala sono molto interessanti. E spiegano, fra le altre cose, perché a destra non si riesca assolutamente a fare una politica culturale credibile.
[…] Protagonista il mitico Marco Vizzardelli, giornalista specializzato in ippica (sul serio, un professionista di trotto e galoppo, non come Hugh Grant finto cronista di "Cavalli e segugi" per avvicinare Julia Roberts in Notting Hill), loggionista di frequentazione semisecolare che alla Scala, dopo l'Inno nazionale, ha strillato con il suo timbro inconfondibile e la proiezione che molti cantanti gli invidiano: «Viva l'Italia antifascista!».
IGNAZIO LA RUSSA - PRIMA DELLA SCALA 2023
La voce dal cielo (come nel Don Carlo!), è stata accolta con applausi da una parte del teatro e con stizza dall'altra. Vizzardelli è stato prontamente identificato dalla Digos, scatenando nel day after una tempesta di reazioni indignate, di meme, di commenti, perfino una campagna social del Pd.
Sembra di essere tornati ai tempi dei "concerti antifascisti" di Abbado, anni Settanta in purezza (i sanbabilini fasci rispondevano beffardi a mezzo volantini: "Mozart e Beethoven hanno fatto la Resistenza?").
L'Italia di sinistra, in assenza di una strategia politica, ha trovato almeno un nuovo eroe, santificato anche dall'incredibile goffaggine della Questura di Milano, che ha tenuto a far sapere che macché intimidazione, no, figuriamoci, la schedatura è stata effettuata come «ordinaria modalità di controllo preventivo per garantire la sicurezza della rappresentazione» e «non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata». Infatti hanno identificato soltanto il Vizza.
FRANCESCA VERDINI - MATTEO SALVINI PRIMA DELLA SCALA 2023
Ma torniamo alla prima. Ignazio La Russa, vero dedicatario del grido ma più scafato dei suoi camerati, ha fatto finta di non aver sentito. Gli altri, naturalmente, hanno abboccato. Matteo Salvini ha dichiarato che «se uno viene alla Scala a urlare ha un problema. Alla Scala si viene per ascoltare, non per urlare», tesi contraddetta dagli ultimi due secoli e mezzo di intemperanze loggionistiche.
[…] Conclusione di Geronimo La Russa, uno che di teatro se ne intende in quanto consigliere d'amministrazione del Piccolo per meriti dinastici: «La musica ha spazzato via le polemiche». Insomma, tutti nella torre d'avorio a degustare l'art pour l'art in compagnia di Théophile Gautier e Stefan George.
Qui è chiaro che si sa nulla della Scala, di Verdi, dell'opera in Italia e, più in generale, del teatro. Non che per parlarne serva una competenza specifica, ma un minimo di cultura generale, magari sì. Perché il teatro è stato inventato, duemila e cinquecento anni fa, appunto per discutere, dibattere, se necessario polemizzare. È il luogo stesso del confronto delle idee, della provocazione alle coscienze, dell'appello alla polis: della politica, insomma.
DOMINIQUE MEYER - LILIANA SEGRE - PRIMA DELLA SCALA 2023
Non parliamo poi di Verdi, che dei grandi uomini di teatro della nostra civiltà è uno di più politici. Al Tg1 ricordavano le grida di «Viva V.E.R.D.I.!» come acronimo di "Vittorio Emanuele Re D'Italia" che risuonavano nei teatri italiani dell'Ottocento, e peccato solo che nell'edizione delle 13 di ieri si sia parlato di «Rinascimento» invece che di «Risorgimento», viva la Rai.
Il teatro è, appunto, uno dei luoghi della politica. Basta ricordare le urla di «Bis!» indirizzate alla prima di due anni fa a Sergio Mattarella e puntualmente confermate dalle Camere in seduta comune. Non saperlo è ben curioso, da parte di chi si è autoassegnato la funzione di custode dell'identità nazionale, della storia e della tradizione. Per carità: non che la classe dirigente di sinistra sia mediamente meno ignorante. Ma almeno è più prudente.
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