Francesco Semprini per “la Stampa”
È la presunta nuova dichiarazione di guerra da parte di Donald Trump a tenere banco nel giorno in cui sembrano attenuarsi i timori di un conflitto in materia di dazi tra Stati Uniti e Cina. Il presidente è pronto a ricorrere a misure coercitive nei confronti di Amazon, riporta il sito Axios, secondo cui la creatura di Jeff Bezos è diventata una «ossessione» per Trump «imbeccato» da imprenditori «vicini» secondo cui la piattaforma di e-commerce starebbe danneggiando le loro attività e «uccidendo centri commerciali e negozi tradizionali».
Non è un mistero l' avversione dell' inquilino della Casa Bianca nei confronti di Amazon e del Washington Post, pubblicazione del gruppo «foriera di fake news», come ha più volte puntualizzato il presidente nei suoi tweet.
Questa volta però sembra profilarsi l' ipotesi di una modifica dei regimi tributari a carico della società di Bezos per impedire «lo stillicidio del business tradizionale», già ventilata lo scorso luglio dal segretario al Tesoro Steve Mnuchin. Le indiscrezioni piombano su Wall Street come un macigno per il comparto tecnologico già piegato da una serie di dinamiche negative. Nonostante le rassicurazioni della Casa Bianca, il titolo della società di Seattle perde il 3,68%, aggravando il pesante bilancio de giorni scorsi delle tecnologiche Faang (acronimo di Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google).
A partire da Facebook, alle prese con la vicenda Datagate e l' attesa di spiegazioni che Mark Zuckerberg deve fornire al Congresso sul furto dei profili-utenti. Apple deve fare i conti la revisione al ribasso da parte di Goldman Sachs delle vendite trimestrali del suo nuovo iPhone, da 54,7 milioni a 53 milioni di unità.
Netflix è alle prese con Stephen Spielberg secondo cui il sito di film e serie rappresenta una minaccia per il cinema e le sue produzioni non dovrebbero essere meritevoli di Oscar. Alphabet (società madre di Google) teme eventuali strette regolamentari su Internet da parte di Ue e Usa.
A questo si aggiunge la collezione di passivi di Twitter, dopo la minaccia del governo israeliano di una maxi azione penale per non aver oscurato account riconducibili a formazioni terroristiche molto attivi sulla piattaforma di cinguettii. Il tonfo più sonoro ieri è stato però quello di Tesla (-8,8%), crollato sul downgrade di Moody's e i timori sul futuro delle auto che si guidano da sole, dopo l' incidente di Uber in Arizona.
Elementi questi che per alcuni fanno temere tempi cupi, specie se associati al pronunciato spread tra l' andamento delle hi-tech e quello delle utility, cosi elevato solo ai tempi della bolla Internet, con la differenza che anziché le dot.com oggi ci sono le Faang.
Ma gli operatori non temono terremoti, almeno per ora, anche perché il rapporto «price/earning», ovvero tra prezzo del titolo e utili societari delle Faang, non è pericolosamente elevato come era per le dot.com.
Le società sono strutturalmente più solide quindi, ma si è in presenza di una correzione di settore, come spiega Nicholas Colas di DataTrek Research. «Le big tech non sono più una bella scatola nera che funziona da sola - spiega - ma un groviglio di fili che richiede il continuo intervento dell' uomo per evitare corto circuiti».
Eppure al netto di Amazon, Apple e Netflix, i titoli di settore, dopo una partenza in ribasso, sono riusciti a virare in positivo portando a casa rialzi importanti, almeno dal punto di vista della fiducia. Dello stesso tenore la performance di Wall Street, in altalena ma senza traumi. Questo, spiegano gli operatori, è dovuto soprattutto al benefico effetto portato dalla revisione verso l' alto del Pil Usa del quarto trimestre 2017 a +2,9% dal 2,5%.
Il dato è anche migliore delle stime degli analisti che ipotizzavano un +2,7%. Il ritocco è dovuto a un aumento dei consumi cresciuti del 4% rispetto al 3,8% precedente, e così per l' intero 2017 l' economia Usa è cresciuta del 2,3% rispetto all' anno precedente. La tenuta dei fondamentali macro, insomma, è più forte di congiunture di settore, scandali e finanche delle dichiarazioni di guerra di Trump. Almeno per ora.