Maurizio Belpietro per ''La Verità''
Incurante di ciò che sta accadendo all' economia del Paese, la maggioranza che sostiene il governo discute di referendum e legge elettorale, come se le aziende e i lavoratori si nutrissero di sistemi maggioritari o proporzionali, di soglie di sbarramento e collegi uninominali. Che il Pil sprofondi, facendo toccare livelli raggiunti 25 anni fa, non smuove di un millimetro i nervi di Giuseppe Conte, il quale continua a fare ciò che gli riesce meglio: gli affari suoi.
PAOLO GENTILONI GIUSEPPE CONTE ROBERTO GUALTIERI
Ieri, cercando di spacciarle per buone notizie, Paolo Gentiloni, commissario europeo ed ex premier, ha lanciato un paio di avvertimenti dritti dritti nei confronti di Palazzo Chigi. Il primo riguarda i tempi in cui i soldi di Bruxelles arriveranno e ha confermato che non si vedrà un euro prima di giugno dell' anno prossimo. La seconda attiene invece all' utilizzo dei denari che, secondo Gentiloni, non potranno essere spesi per tagliare le tasse o per altri cosiddetti usi «impropri»: traduzione del messaggio spedito dall' ex presidente del Consiglio, i fondi dovranno essere investiti come dirà l' Europa.
A dire il vero, anche l' Alto rappresentante Ue per gli esteri ha deciso di dare un altolà a chi pensava di usare a proprio piacimento i miliardi del Recovery fund. Josep Borrell ha voluto infatti ricordare che perché Bruxelles apra il portafogli non basta il semaforo verde della Commissione europea, ma è necessaria l' approvazione di tutti e 27 i Parlamenti nazionali. In pratica, quella che secondo il governo doveva essere una semplice passeggiata, rischia di trasformarsi in una sfilata davanti al plotone d' esecuzione. Ottenere il denaro rischia dunque di essere più complicato di quanto si credeva.
Luigi Di Maio e Ettore Sequi incontrano l'alto rappresentante Ue Josep Borrell
Tuttavia, i segnali che arrivano dalla Ue non paiono suscitare particolare attenzione nei ministri che hanno in mano i cordoni della borsa. Infatti, Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli, rispettivamente capi dell' Economia e dello Sviluppo economico, procedono tranquilli nella loro navigazione, sulla scia dello stesso Conte. Al punto che da più parti cominciano a sentirsi i primi segni di preoccupazione.
Se il governo non si affretta a preparare i piani da sottoporre a Bruxelles per ottenere il via libera all' erogazione dei fondi, potremmo essere costretti a dire addio ai finanziamenti. Il presidente del Consiglio, a quanto pare, ha voluto concentrare nelle sue mani e in quelle di pochi fedelissimi le decisioni. Ma l' accentramento ha fatto in modo che tutte le strutture tecniche competenti siano state tagliate fuori. Il coordinamento è stato attribuito al Comitato interministeriale per gli Affari europei, invece che a quello per la programmazione economica.
Una decisione giudicata bizzarra, secondo la ricostruzione che ne ha fornito il quotidiano Il Tempo. Così come sorprendente è stata ritenuta la mossa di mettere a capo del gruppo che deve selezionare i programmi da finanziare il ministro Enzo Amendola, ossia colui che tiene i rapporti con l' Europa, invece del ministro dell' Economia. Alle riunioni, poi, al posto dei numeri uno, parteciperebbero i funzionari di seconda fila, con il risultato che al momento nessuno sa dire con esattezza quali piani saranno davvero portati a Bruxelles per la valutazione.
Il risultato è che i soldi europei si rischia di vederli con il binocolo, perché dopo aver a lungo parlato del successo conseguito dal premier durante la trattativa con l' Europa (successo di cui per vari aspetti tecnici che non staremo qui a ricordare ci siamo permessi di dubitare), a Palazzo Chigi sembrano essersi dimenticati che senza progetti dettagliati il rubinetto dei denari potrebbe non essere aperto.
Finora il Comitato interministeriale guidato da Amendola avrebbe visto affluire 500 piani da finanziare, ma i dossier sarebbero stati impilati senza capo né coda. Sono lontani i tempi degli Stati generali, quando Conte diceva di voler raccogliere le migliori idee per il Paese. Oggi le idee appaiono numerose e confuse, senza una visione organica di crescita. A parte i soliti slogan, il premier e i suoi compagni di viaggio sembrano copiare male i progetti del passato. Il presidente del Consiglio ha rispolverato l' idea di Berlusconi di congiungere la Sicilia all' Italia, non con un ponte, ma con un più avveniristico tunnel sotto lo stretto. Di Maio, che non vuole essere da meno, le opere pubbliche le va a fare in Libia.
In attesa, naturalmente, che a fare qualche cosa ce li mandino gli italiani.