1 - LA PISTA VERSO I MANDANTI NEL CELLULARE DEL CARCERIERE CHE GIRÒ I VIDEO-APPELLO
C. Man. per “il Messaggero”
Voleva tornare libera, Silvia. Sognava ogni giorno di ritrovare la sua famiglia. E lo ripeteva in quei tre video-appello che sono stati inviati agli 007 dell'Aise, il nostro servizio segreto esterno, nei quali diceva: «Vi imploro, liberatemi».
Nei 18 mesi di prigionia, chiusa da sola in una stanza, sentiva le voci all'esterno e annotava tutti i particolari in un quaderno che aveva chiesto ai carcerieri. Quello stesso diario che, al momento della liberazione, le hanno vietato di portare con sé. Un elemento importante per la ricostruzione del rapimento e di tutte le fasi che ne sono seguite. Tanto che, durante l'interrogatorio che la giovane cooperante ha avuto con il pm Sergio Colaiocco e con il colonnello del Ros, Marco Rosi, si è molto insistito sul contenuto.
Dove si trovava? Che rumori sentiva? Aveva vicino una moschea? È vero che i servizi di intelligence avevano ben chiara la zona dove la ragazza era tenuta prigioniera, ma la scelta di segregarla in una casa è stata presa proprio per rendere più difficile l'individuazione precisa del luogo.
E ora, gli inquirenti stanno cercando di mettere insieme tutti gli elementi che possano aiutare a individuare i componenti di al Shabaab che hanno gestito la sua prigionia: dai tabulati telefonici recuperati dal Ros durante una missione in Kenya, alle indicazioni fornite dalla giovane cooperante sui luoghi e i percorsi seguiti. Al centro delle indagini anche i contatti tra il commando e i somali, avvenuti prima del rapimento. Un lavoro che punta a individuare chi ha tradito Silvia.
I VIDEO
I video sono stati tutti registrati con il telefonino del carceriere che parlava inglese. «Mi diceva cosa dovevo dire, premettendo sempre nome, cognome e data - è ancora il ricordo della cooperante - Non lo ho mai visto in faccia, anche se ormai avevo imparato a riconoscere le loro voci. Erano sei e si davano il cambio, in gruppi di tre». E proprio da quello stesso telefonino sono stati inviati i messaggi per la trattativa. Indicazioni sulle quali è puntata l'attenzione degli investigatori, perché potrebbe fornire elementi utili all'individuazione dei rapitori.
Gli inquirenti stanno confrontando le dichiarazioni di Silvia con i documenti in loro possesso. Tra questi un serie di tabulati telefonici che potrebbero fornire risposte sui mandanti e gli organizzatori del sequestro. Si tratta di atti acquisiti dal Ros nell'estate del 2019 nel corso di una missione effettuata in Kenya nell'ambito dell'accordo di collaborazione tra i due paesi culminato con un vertice a piazzale Clodio nel luglio dell'anno scorso.
I tabulati dimostrano come i componenti della banda criminale che ha eseguito il sequestro il 20 novembre del 2018, abbiano avuto numerosi contatti con la Somalia sia prima che dopo il blitz avvenuto nelle vicinanze del villaggio Chakama a circa 80 chilometri da Malindi. Un elemento che avvalora ulteriormente l'ipotesi che quello della Romano sia stato un sequestro su commissione, pianificato in Somalia.
LA ONLUS
Un altro fronte sul quale la procura sta lavorando è quello che riguarda la onlus Africa Milele dove Silvia lavorava. Ha garantito i livelli di sicurezza? I magistrati hanno sentito anche i vertici della onlus per verificare le modalità del viaggio e della permanenza della volontaria nel villaggio africano. E ora, dopo il suo racconto e alcune dichiarazioni rese dalla responsabile della ong la procura potrebbe volere proseguire su questo filone.
Silvia era reduce da un'esperienza come volontaria in Africa, aveva fatto un colloquio e un corso on line e successivamente è stata mandata nel villaggio in Kenya. Conosceva l'inglese e aveva la qualifica di referente con diverse responsabilità. «Non fu mai lasciata sola - ha detto la fondatrice della ong Lilian Sora sottolineando che per la sicurezza c'erano due «masai armati di machete» ma uno di loro «era al fiume» quando è stata rapita. Silvia era arrivata il 5 novembre: «Non avevamo fatto in tempo ad attivare l'assicurazione», ha concluso.
2 - L’IPOTESI: RAPITORI JIHADISTI EUROPEI O AMERICANI
Gian Micalessin per “il Giornale”
Silvia Romano sarebbe finita nella mani dei volontari jihadisti stranieri, che combattono per Al Shabaab. I più pericolosi, legati ad Al Qaida compresi cittadini americani e inglesi con taglie milionarie sulla testa. I buchi neri sul rapimento di Silvia Romano emergono fra le righe della deposizione dell' ex ostaggio alla procura di Roma trapelata a singhiozzo negli ultimi giorni. A tal punto che adesso l' ordine draconiano dell' autorità giudiziaria sarebbe il silenzio assoluto.
Il primo punto da chiarire è che i rapitori, probabilmente non sono somali. Silvia sostiene che «parlavano in arabo». La marmaglia locale di Al Shabaab, che vuole dire «gioventù» parla i dialetti somali. L' arabo è la lingua principale degli adepti internazionali di Al Qaida giunti in Somalia per la guerra santa. Si calcola che siano fra i 200 e 300 provenienti dallo Yemen, Arabia Saudita, Iraq, Afghanistan, Pakistan e Bangladesh. E anche dagli Stati Uniti, Canada, Inghilterra e altri paesi europei.
Uno dei più famosi e ricercato dall' Fbi con 5 milioni di dollari sulla testa è Jehad Serwan Mostafa. Classe 1981, nato a San Diego parla arabo e inglese. Dalle deposizioni Silvia spiega che «il capo parlava inglese».
Ed è stato proprio lui a portarla sulla strada della conversione. Anche se era incappucciato l' ex ostaggio potrebbe riconoscerlo perchè secondo le informazioni dell' Fbi «ha un' evidente cicatrice sulla mano sinistra, gli occhi blu e porta gli occhiali».
Nome di battaglia Anwar al-Amriki è un comandante senior degli Al Shabaab, che guida i combattenti stranieri, manipolatore e specialista dei media.
Un altro buco nero è capire se Silvia, diventata Aisha, abbia subito un lavaggio del cervello in stile sindrome di Stoccolma o sia stata sottoposta ad un vero e proprio tentativo di radicalizzazione. Nelle deposizioni trapelate la cooperante sostiene che i terroristi le facevano vedere «video tratti da Al Jazeera».
Non si trattava certo di Topolino, ma dei soliti filmati sulla guerra santa in Somalia. «Le regole fisse della manipolazione con l' obiettivo di radicalizzare è la conversione per scelta, come ha ammesso Silvia, l' imbonimento con filmati che mostrano come il nemico infedele ammazza i bambini a differenza dei mujaheddin che si immolano con gli attacchi suicidi per difendere il vero Islam» spiega al Giornale una fonte operativa. Poi, come è accaduto con tutte le giovani jihadiste italiane partite dall' Italia, c' è sempre la calamita dell' amore, il matrimonio con un mujahed e i figli che cementano il legame con la guerra santa.
Shabaab pb sy al shabab photoblog
Silvia avrebbe subito i primi due passaggi della manipolazione, che ha già ottenuto un risultato con il suo discusso rientro in Italia. «La conversione e la tunica verde sono tutti messaggi interpretati come una vittoria dal mondo jihadista in rete - spiega la fonte - E serve anche ad attirare proseliti da una parte e scatenare gli anti islamici contro Silvia facendola apparire come una vittima». Obiettivo almeno in parte raggiunto, che si intreccia con il buco nero tutto da esplorare a livello internazionale.
Gli inquirenti sono al lavoro su tabulati, contatti telefonici e documenti acquisiti dalle autorità del Kenya.
Il rapimento sarebbe avvenuto su commissione e pianificato in Somalia grazie da appoggi oltre confine, dove la polizia ha cercato Silvia a vuoto. E soprattutto bisognerà capire la contropartita chiesta dal Mit, i servizi segreti di Ankara, per l' aiuto nella liberazione dell' ostaggio che potrebbe riguardare lo scacchiere libico.