Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
Tutti contro il «clown». Però sarebbe più giusto dire l’ex clown, almeno a giudicare dai sondaggi. Nonostante le promesse della vigilia e i proclami di civiltà, questo è il senso del primo dibattito fra i candidati repubblicani alle presidenziali del 2016, che la Fox trasmetterà stasera da Cleveland: fermare la corsa di Donald Trump, che altrimenti potrebbe diventare inarrestabile. Spingerlo a fare qualche gaffe, provare la sua incompetenza, perdere le staffe. E, nello stesso tempo, mostrare all’America che il partito di Lincoln ha molte alternative affidabili e credibili.
La corsa alla Casa Bianca comincia ufficialmente stasera, col rito del primo dibattito. Affollatissimo, perché i candidati repubblicani sono 17, e la Fox è stata costretta a scremarli a 10. Per farlo ha usato lo status attuale nei sondaggi, e quindi ha eliminato l’unica donna in corsa, Carly Fiorina, i governatori ed ex governatori Jindal, Gilmore, Perry, Pataki, i senatori ed ex senatori Graham e Santorum.
Dunque sono rimasti Trump, Bush, Walker, Huckabee, Carson, Cruz, Rubio, Paul, Christie e Kasich, in ordine di gradimento. I numeri dei sondaggi variano, ma tutti sono d’accordo su un punto: Trump è nettamente in testa, in alcuni casi col 30% delle preferenze, e spesso col doppio della percentuale del suo più immediato inseguitore.
NON SOLO POPULISMO
Per spiegare questo fenomeno, il Project Syndicate ha scomodato il professore di Democrazia al Bard College, Ian Buruma, secondo cui il miliardario Donald non è solo la versione americana del populismo incarnato dai comici tipo Beppe Grillo, o i razzisti come l’olandese Geert Wilders.
C’è di più. Trump è il primo candidato della post-politica, che interpreta la stanchezza verso i professionisti del voto, la rabbia della classe media, il risentimento verse le elite e la “casta”.
Quindi non conta quello che dice, ma come lo dice. Può sbagliarsi, contraddirsi, insultare, come ha fatto con i programmi per distruggere l’Isis, costruire un muro al confine col Messico, riportare il lavoro dalla Cina all’America, boicottare i trattati per il libero commercio, degradare l’eroe di guerra McCain, ma il suo elettorato gli resterà comunque appiccicato. Un bel dilemma, dunque.
SPERANZE E RISCHI
Alla viglia Trump ha detto di volere «un dibattito civile», a meno che qualcuno lo attacchi. Il presidente del Partito repubblicano Priebus, che lo aveva chiamato affinché moderasse i toni contro i messicani sull’immigrazione, per non far perdere al Gop tutto il voto ispanico, ora giura che Donald «è una cosa buona per noi». Perché può attirare gli scontenti a vedere il dibattito, e notare gli altri repubblicani.
Anche i consiglieri di Bush pensano che sia un vantaggio, perché toglie voti al suo concorrente più pericoloso, il governatore del Wisconsin Walker, e riunifica il partito intorno a Jeb, finora incerto e traballante. Priebus invece non teme che Trump si candidi come indipendente con i suoi miliardi, portando via ai repubblicani voti decisivi, come fece Perot nel 1992. Può darsi che abbiano ragione, ma se stasera non riusciranno a far cadere Donald in qualche trappola, e lui uscirà vincente dal dibattito, fermare l’ex clown diventerà complicato.