Francesco Borgonovo per la Verità
KISSINGER CON DONALD E MELANIA TRUMP
Fortuna che la nuova era trumpiana dovrebbe essere quella dei muri e delle barriere, delle recinzioni che si ergono terrificanti e maestose. Perché finora quel che si nota è piuttosto la rottura degli argini, l’assenza di ogni limite, soprattutto per quel che riguarda la follia. Chissà, forse è una questione esclusivamente italiana, ma qui non c’è filo spinato che tenga: le castronerie viaggiano sfrenate, più potenti e rapide dei flussi finanziari, deflagrano producendo impressionanti sconquassi intestinali.
Per farla breve: da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca la pazzia dilaga. Altrimenti non si spiega come sia possibile che Ezio Mauro in persona, sulla prima pagina di Repubblica , si cimenti in una difesa dei «valori dell’Occidente». Sì, davvero. L’uomo che per anni è stato il portabandiera della cultura progressista italica si mette a vergare migliaia di battute per stigmatizzare «questo Sessantotto alla rovescia che butta per aria la gerarchia dei valori ».
Ora, non so voi, ma io ricordo anni in cui bastava pronunciare mezza sillaba della parola «Occidente» per essere etichettati come pericolosi reazionari, codini per di più. Gente brutta, che si alimenta di libri di Oriana Fallaci e scritti ratzingeriani. E adesso sono tutti lì, i progressisti, a struggersi perché Trump sovverte l’ordine costituito occidentale, perché mette in minoranza - dice Mauro - «il pensiero politico liberale». Con George W. Bush al potere, l’Occidente era il ricettacolo di ogni male, adesso invece diventa un feticcio, l’unico orizzonte di senso possibile.
Nell ’impazzimento generale accade dunque che Ezio Mauro si trovi a battagliare nella stessa trincea difesa da Giuliano Ferrara. Non se ne sono quasi accorti, a un certo punto, mentre sparavano, si sono girati e si sono resi conto di essere l’uno aderente alle spalle dell’altro. Almeno Ferrara mantiene una certa coerenza. A lui piaceva l’internazionalismo neoconservatore, il Nuovo Ordine Mondiale scandito dagli scarponi sul terreno Mediorientale. Con Bush allora, con Bush oggi.
stile15 ferrara stille ezio mauro
È un’altra destra (permettete l’utilizzo di una categoria putrescente: è per capirsi) ad aver cambiato idea sulle magnifiche sorti e progressive del mondo a guida americana. E per fortuna. Stupisce di più che Ferrara se la prenda con la classe media, definendola «feccia dell’umanità» e tratti The Donald da cialtrone, indugiando sul colorito «arancione» del nuovo presidente. E dire che tutti noi, anche abbeverandoci agli editoriali del Foglio, ci eravamo appassionati alle tinte terrose delle gote berlusconiane e alla meravigliosa cialtroneria arcoriana.
FRONTE COMUNE
Che volete, i tempi cambiano, e se c’è da difendere l’élite bisogna che si serrino i ranghi. Se poi un elefantino conservatore finisce a far comunella con Corrado Augias, poco importa. Anche se poi Augias - copiando da chissà chi - se la prende con «l’America profonda di chi ha la carabina appesa al caminetto». Cioè la stessa che votò Bush. Paradossi del trumpismo ripassato nel frullatore italiano (come se a Trump importasse qualcosa di ciò che pensiamo noi, per altro). Ci sono i Michele Serra e i Massimo Gramellini che s’intignano a demonizzare il presidente americano perché «fascista» e «razzista», ma se la stessa difesa del lavoro e della borghesia l’avesse ventilata il Pd, apriti cielo, sarebbero lì a sperticarsi.
Se ci invitassero - e non lo fanno - immaginiamo che ci divertiremmo un sacco alle cene degli intellettuali che contano. Quelle dove un tempo ci si univa per sbertucciare Matteo Salvini, adesso devono essere un bel putiferio. Prendi Michele Serra e mettilo di fianco a Roberto Saviano e fai che parlino di Trump. Il primo esploderà di sdegno. Ma il secondo? Beh, il secondo da qualche tempo si è scoperto «trumpettaro» (Ferrara dixit), dunque gli toccherà dissentire. Chissà che dolori di stomaco, poverino. Tanto più che a Saviano tocca pure litigare con se stesso: è sceso in piazza per partecipare alle dimostrazioni contro Donald (figurati se si perde una sfilata), però le ha trovate «vecchie» e deludenti. Insomma, non si è ancora ben capito se è d’accordo con Trump, con chi contesta Trump o con Trump e i suoi oppositori contemporaneamente, o se ancora gli fanno schifo entrambi.
A questo punto, evviva il trumpismo trionfante ed esasperato di Carlo Freccero. Nella sua incoerenza, è coerentissimo: ha scritto un libretto molto carino intitolato L’idolo del capitalismo, e la sua avversione per la società dello spettacolo (che pure l’ha reso famoso e forse ricco) è antica. Dunque cade a fagiolo che egli sia ferocemente favorevole al nuovo presidente che demolisce a testate la globalizzazione, o almeno dice di volerci provare. E pazienza se per un Freccero raggiante ci dobbiamo trovare uno Stefano Fassina che riscopre il «patriottismo», lui che è bocconiano e di ultra sinistra, cioè ostile alle patrie per definizione (benché siano definizioni opposte).
Che siano nati i marxisti per Trump? Boh. Direte: anche gli identitari sono una bella accozzaglia. I liberaloni e liberistissimi di un tempo oggi tifano confini e misure socialistoidi. Vogliono l’intervento pubblico e lo Stato forte. Tutto vero, ma mettiamola così: se non altro, c’è chi ha il coraggio di ammettere di aver sbagliato in passato. C’è chi si è ravveduto, o chi semplicemente ha indagato un po’sul presente. Incoerenza sì, in parte. Ma meditata, sofferta, provata sulla pelle.
È un po’ diverso il signorotto di sinistra che critica le misure di Trump, ma se le avesse proposte Maurizio Landini avrebbe battuto le mani. Lo stesso Landini, va notato, in tv è stato piuttosto cauto - insolito per lui - a proposito di Trump. Quasi sconfortato, come se un altro gli avesse portato via il lavoro. Come se avesse capito che, alla fine dei conti, la difesa delle frontiere, non è poi una brutta cosa. Solo che non può dirlo, e allora si strugge, rimuginando sui propri confini interiori.
Non può dire «prima gli italiani », così come certi destri non possono ammettere che l’immigrazione non è solo una questione di decoro urbano. Vale un po’per tutti, in fondo. È saltato il tappo, i confini si sbriciolano, e il conflitto si allarga: le élite fanno quadrato e gli altri si adeguano, ciascuno in cerca della propria working class interiore. ©