GLI USA SI INCAZZANO E BLOCCANO IL VIAGGIO NEGLI STATI UNITI DEL PUTINIANO PETROCELLI – L’IMBARAZZO DELLA FARNESINA PER LA POSIZIONE FILORUSSA DEL PRESIDENTE M5S DELLA COMMISSIONE ESTERI DEL SENATO CHE NON SI DIMETTE ED E’ PRONTO A VOTARE CONTRO IL GOVERNO PER L'INVIO DELLE ARMI A KIEV - PRIMA DI ANNULLARE IL VIAGGIO I SENATORI CHE AVREBBERO DOVUTO ACCOMPAGNARLO PROVANO A OFFRIRGLI UNA VIA D'USCITA: AFFIDARE A UN ALTRO LA GUIDA DELLA DELEGAZIONE. PETROCELLI SI RIFIUTA E…

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Ilario Lombardo e Alberto Simoni per “la Stampa”

 

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Che questa storia sarebbe potuta finire così com' è finita era già chiaro due settimane fa, quando fonti diplomatiche da Roma riferiscono ai vertici del ministero degli Esteri di una certa agitazione a Washington. Il viaggio di Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri in Senato, fissato per la prossima settimana, non si farà.

 

Rinviato, dicono ufficiosamente a Palazzo Madama. Di fatto, è annullato. L'epilogo è spiegabile con l'imbarazzo che da almeno dieci giorni viene trasmesso dalla Farnesina. Petrocelli è un fiero difensore delle ragioni di Vladimir Putin, e anche davanti alle bombe, il senatore non indietreggia dalle sue posizioni. Negli Stati Uniti certe sfumature sono difficili da comprendere.

 

GIUSEPPE CONTE VITO PETROCELLI GIUSEPPE CONTE VITO PETROCELLI

La Russia sta smembrando l'Ucraina. Per i repubblicani e i democratici basta questo. Putin è una minaccia per l'Occidente. Petrocelli è il presidente di una commissione parlamentare, scelto in quota maggioranza. Pur nella sua terzietà, rappresenta la linea del governo. Dovrebbe. Perché, come ha dichiarato, a costo di farsi espellere, è pronto a votare contro la fiducia al decreto dell'esecutivo che conferma l'invio delle armi a Kiev. La delegazione guidata da Petrocelli sarebbe dovuta sbarcare in Usa lunedì 28 marzo.

 

Negli incontri fissati in agenda erano previste tappe alla Nasa, a Houston, e alla Silicon Valley, a San Francisco, dove i senatori avrebbero incontrato i ricercatori italiani. La parte politicamente più delicata del viaggio era, però, a Washington, dove Petrocelli era atteso per un colloquio con l'omologo al Senato americano Robert Menendez, e al German Marshall Fund, think thank che sostiene lo sviluppo delle democrazie e delle relazioni transatlantiche. Il senatore assicura che avrebbe illustrato la posizione del governo italiano. Ma Mentre Mariupol viene rasa al suolo e si combatte per le città ucraine con il sostegno di tutto l'Occidente, si sarebbe anche trovato a dover spiegare agli americani perché secondo lui l'Italia deve uscire dalla Nato e restare equidistante da Russia e Stati Uniti.

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Queste le sue idee, rivendicate ancora ieri: «Resto coerente con le posizioni con cui il M5S è stato eletto. Se i miei colleghi hanno cambiato idea, è un problema loro». Prima di annullare il viaggio i senatori che dovrebbero accompagnarlo provano a offrirgli una via d'uscita. Sostituirlo o affidare a un altro la guida della delegazione. Petrocelli rifiuta. E allora, d'accordo con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, la visita salta. Petrocelli non muove di un millimetro le sue convinzioni. Non ha partecipato alla seduta comune con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, e al segretario del Pd Enrico Letta che gli chiede di dimettersi per opportunità, ha risposto che non lo farà. Infine, risulta assente alla votazione della risoluzione che dà un mandato al governo per il Consiglio europeo di domani.

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Un testo che fa emergere tutta la contraddizione interna al M5S sul riarmo. Mario Draghi, alla Camera e in Senato, ha illustrato i punti che si tratteranno al vertice. Tra questi, le spese militari. Il premier ha detto che il governo vuole «adeguarsi all'obiettivo del 2% del Pil che abbiamo promesso alla Nato». Al momento l'Italia spende per armamenti circa l'1,4. Il tema è spinoso. Un ordine del giorno che impegna il governo, senza vincolarlo, ad aumentare la spesa è stato votato quasi all'unanimità alla Camera. Ma il M5S, per volontà del leader Giuseppe Conte, ha fatto sapere che si opporrà in Senato. Su questo, la posizione nel governo si fa complicata. Anche perché da quanto risulta alla Stampa, Draghi vorrebbe segnare una prima indicazione di spesa in più già nel Def, tra una settimana.

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Il premier, nella replica ai senatori, prova a ammorbidire l'effetto dell'annuncio e a contestualizzare l'impegno preso con la Ue: «È importante - dice - che questi aumenti vengano annunciati all'interno di una strategia europea e non di una strategia nazionale». La Bussola strategica, documento che delinea le priorità della futura Difea Ue, «è un primo passo». La risoluzione passata ieri in Parlamento, al punto 5, si impegna a implementarla «nel più breve tempo possibile» per rafforzare il coordinamento europeo in collaborazione con la Nato. All'interno della Bussola, che il testo votato anche dai 5 Stelle approva, si prevede però un aumento «sostanziale» delle spese nazionali.

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