Brunella Bolloli per “Libero Quotidiano”
Il vuoto oltre il balconcino. Virginia Raggi è sindaco di Roma da quasi tre mesi, ma a parte i saluti dal suo terrazzino con vista sui Fori, di provvedimenti per la città neanche l' ombra. L' amministrazione M5S latita. Delibere di giunta non pervenute, del resto manca ancora l' assessore al Bilancio e il capo di Gabinetto ha rassegnato dimissioni «irrevocabili» il primo settembre.
Nello stesso giorno, a cascata, hanno detto ciao a Virginia i vertici di Atac e il presidente di Ama, ed è stato a un passo dall' addio anche l' assessore alle Infrastrutture.
Ieri l' ha mollata pure Augusto Rubei, portavoce della campagna elettorale. Il consiglio comunale, in ferie forzate per mancanza di decisioni da prendere, non sarà convocato fino al 20 settembre.
I municipi lamentano la carenza di iniziative (non si è ancora svolta una riunione con i mini-sindaci) e senza un titolare dei conti c' è il rischio concreto che il Campidoglio, con il suo debito monstre, dichiari fallimento. In mezzo c' è stata la rinuncia a un incontro in Vaticano programmato da tempo, e un altro con la Comunità ebraica, dimenticanze varie, grossolane sviste istituzionali.
STADIO GIALLOROSSO
La sindaca cosa fa, a parte prendersela con i giornalisti che aspettano solo una sua parola? Ieri ha visto il presidente della Roma James Pallotta per parlare del nuovo stadio della Maggica. Un progetto che i tifosi aspettano da anni e su cui c' è un rimpallo di competenze con la Regione. L' inaugurazione è fissata per il 2019, i lavori dovrebbero partire a fine inverno. Anche con mister Pallotta foto di rito dal balconcino e salutino con la mano. Peccato che, incalzata dalle domande, Raggi non abbia saputo spiegare a che punto è la costruzione dell' impianto e si sia limitata a un: «Non abbiamo parlato di dettagli tecnici». Poi ha rifiutato la maglietta donata dalla Lazio al figlio Matteo per non scontentare i giallorossi.
Virginia era la stella nascente del Movimento, la donna che doveva risollevare la Capitale fiaccata dalle inchieste e dagli errori dei sindaci marziani, più popolare perfino di Grillo secondo un sondaggio. Eppure, se si chiede ai romani, tutto questo cambiamento ancora non c' è. Diamole tempo, ma Roma è ancora nella polvere, in mano a gente inesperta che fugge al confronto. Gli autobus sono vecchi, sporchi e in ritardo come prima. Al primo acquazzone la città va a bagno modello Venezia e si formano le voragini, le strade sono rotte e malconce e, nonostante i proclami della vigilia, è stato prorogato l' affidamento alle «solite ditte» che lavorano nella manutenzione stradale.
RAGGI DE VITO LOMBARDI DI MAIO FRONGIA
Virgi prima si è arenata nel pantano dei regolamenti del Movimento, inflessibile con chi ha indagini a carico (silurato in ventiquattr' ore l' assessore al Bilancio Raffaele De Dominicis) o con chi vive nel peccato originale di avere lavorato con i vecchi partiti (vedi il caso di Marra); poi si è scontrata con la lotta di potere all' interno del suo stesso Movimento e ha ottenuto la rottamazione del mini-direttorio romano da cui si sentiva commissariata. Infine, si è trovata a difendere la sua assessora all' Ambiente Paola Muraro che, pur indagata, conosce meglio di altri gli impianti di smaltimento dei rifiuti di Roma.
Non una conferenza, non un' uscita in mezzo ai romani: il primo sindaco donna nella storia di Roma, giovane mamma, si sta rivelando anche la più lontana dai suoi concittadini. E la distanza, in politica, fa rima con arroganza.
GOVERNO DI SCOPO? NI
Raggi, almeno, ha ottenuto di camminare con le proprie gambe. Sceglierà lei il nuovo titolare del Bilancio (in pole sempre Nino Galloni, quello che vorrebbe l' emissione di una nuova moneta per Roma Capitale, e Mario Canzio) nonché il suo capo di Gabinetto. Libera di decidere da sola anche sulle Olimpiadi. «A lei onori e oneri», ha dichiarato Alessandro Di Battista, l' uomo-immagine dei Cinquestelle, corretto dall' amico-rivale Luigi Di Maio.
«Siamo pronti a un governo di scopo», si era lanciato Dibba in tv. Grillini attoniti, fibrillazione nello staff, dichiarazioni confuse dei colleghi, fino a che ieri è arrivato lo stop del vicepresidente della Camera perché M5S e governo di scopo sono sempre stati due concetti lontanissimi tra di loro. «Al governo ci andiamo solo con i voti degli italiani e su questo non si transige», ha detto Di Maio durante la presentazione dei dieci punti del M5S per rimettere in moto le zone devastate dal terremoto.
«Sarà il presidente della Repubblica a decidere se sciogliere le Camere o se individuare una persona per fare un nuovo governo o chiedere alle Camere, con un governo dimissionario, di approvare una legge elettorale e poi andare al voto. Questi signori vogliono modificare l' Italicum, che avevano appena celebrato come la legge più bella», ha attaccato il delfino di Grillo, «e ora la vogliono cambiare, dimostrando che le leggi elettorali se le fanno per proteggere le loro poltrone».
«Noi ci siederemo a un tavolo per ridiscuterne in Parlamento unicamente partendo dalla nostra proposta, il Democratellum», ha precisato Danilo Toninelli. Ma anche per Luigino Di Maio non è un buon momento. Sarà il pasticcio della giunta Raggi, oppure lo scivolone su Pinochet, fatto sta che già si parla di fronda dei grillini ortodossi a favore di Roberto Fico, storico rivale del delfino Di Maio. E i sondaggi danno M5S in calo.