Andrea Rossi per “la Stampa”
ALBERTO CIRIO CON LA MASCHERINA
Nella Regione che anche secondo l' Imperial College - dopo aver paurosamente vacillato nella gestione dell' epidemia - è la più esposta alle possibili ripercussioni di una ripresa del contagio, c' è un presidente di Regione che ha nei fatti commissariato il suo assessore alla Sanità, affidando le scelte più delicate a un gruppo di esperti, un assessore alla Sanità che si dice pronto «ad andare in galera a testa alta» ma al tempo stesso si defila («non decido io, c' è un commissario») e attacca i consulenti nominati dal suo governatore.
C' è un presidente espressione di Forza Italia, ma a capo di una giunta egemonizzata dalla Lega (sette assessori su undici), ai ferri corti con almeno un paio di suoi collaboratori, che difficilmente potrà sostituire perché blindati dall' azionista di maggioranza della coalizione.
E c' è un partito, la Lega, i cui esponenti sono bersagliati da accuse e critiche, che mostra segnali di insofferenza verso un governatore che, dopo una gestione "domestica" della prima fase dell' emergenza, fiutato il baratro, ha cambiato schema e interlocutori.
Accade questo in Piemonte, ora che la forza del virus sembra perdere vigore. Dalla fine della scorsa settimana i numeri preoccupano di meno: 27.939 casi (165 in più di martedì), ma anche quasi 7 mila guariti, 150 pazienti dimessi ieri dagli ospedali e 300 usciti dall' isolamento domiciliare.
La soglia di attenzione resta alta, non fosse altro perché nella seconda metà di aprile i casi totali accertati sono aumentati di un terzo, e nessuna regione è stata così in difficoltà. I test sierologici sono appena partiti mentre in altre regioni i medici di base li possono già prescrivere agli assistiti, i dispositivi mancano (ieri la Regione ha bocciato una partita di 18 mila tute arrivata lunedì da Roma perché non idonee a uso medico), i medici sono furibondi.
ALBERTO CIRIO CON LA MASCHERINA
In questo contesto è iniziata la resa dei conti, come se l' emergenza fosse finita. L' ultimo cortocircuito l' ha innescato Luigi Icardi, ex sindaco di Santo Stefano Belbo, paese natale di Cesare Pavese: aspirava a fare l' assessore all' Agricoltura, gli è toccata la Sanità e la più grande emergenza dal dopoguerra a oggi. È il bersaglio prediletto degli ultimi due mesi: sindaci, medici, infermieri, gestori di Rsa.
Martedì si è sfogato: contro i sindacati, che esistono «solo se protestano», contro gli assembramenti a Torino. Tre giorni fa aveva litigato platealmente con il sindaco di Asti Rasero, sponda centrodestra, sulle Rsa. Ieri la sindaca di Torino Appendino ha perso la pazienza: se la Regione crede che ci siano troppe persone in giro intervenga e chiuda i parchi; piuttosto, si occupi di contenere i contagi facendo test sui luoghi di lavoro.
Ma soprattutto, senza mai citarlo, Icardi ce l' aveva con Alberto Cirio, il suo presidente, che nei giorni più bui l' ha relegato in un angolo affidandosi a tre esperti: l' ex ministro Ferruccio Fazio, il virologo Giovanni Di Perri e l' epidemiologo Paolo Vineis. Fazio ha criticato la gestione della Fase 1, Di Perri con Icardi si era scontrato sulla gestione dei tamponi a inizio marzo (sosteneva bisognasse farne molti di più), per Vineis le morti dentro le Rsa si potevano evitare. Un trittico durissimo. Icardi ha reagito: «Sono sciocchezze». Ieri ha corretto il tiro ma non troppo.
Il suo vero obiettivo era Cirio, con cui è ai ferri corti, così come l' altra grande accusata, l' assessore al Welfare Chiara Caucino, le cui deleghe abbracciano anche le Rsa.
Il presidente ieri era furibondo, la Lega nervosa. Con 23 consiglieri di maggioranza su 32 e sette assessori su undici ci sono pochi dubbi sui rapporti di forza. Cirio, però, con le task force si è conquistato uno spazio di autonomia, che comincia a dare fastidio al suo potente alleato.