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A Salvini prude la scheda elettorale. Vorrebbe andare ad elezioni presto, prima possibile, magari nel 2022, appena nominato il nuovo capo dello Stato.
Freme per passare all'incasso e "monetizzare" i sondaggi che danno la Lega ancora (ma per quanto?) primo partito italiano. La sua pulsione elettorale, però, è vissuta in solitaria: non la condivide nessuno in Parlamento.
Dall'altra parte, il Pd, con la disastrosa guida di Enrico Letta, deve ancora ridefinire se stesso tra battaglie identitarie (Ius soli, migranti, questione di genere, tweet pro-Fedez) e una necessaria svolta progressista sui diritti sociali (diritto alla casa, lavoro, salute).
Il M5s non sa di che morte deve morire e si barcamena tra la fantomatica "ricostruzione" di Conte, ventilate scissioni in quota Casaleggio-Di Battista, guerre intestine (Di Maio vs Conte) e ipotetico terzo mandato per salvare gli stipendi degli onorevoli cinquestelle. Praticamente un Vietnam.
Di votare non vuole saperne neanche Giorgia Meloni: la sua rincorsa non è conclusa. Andare a pesare i consensi ora vorrebbe dire consegnare le chiavi dell'alleanza a Salvini, visto che la Lega è ancora davanti a Fratelli d'Italia e nel centrodestra chi ha un voto in più, comanda. Meglio aspettare ancora e passare all'incasso soltanto a sorpasso avvenuto.
Di queste e altre beghe, Mario Draghi se ne impipa nel suo resort umbro. Lascia che i partiti giochino ad azzuffarsi, tra propaganda ed esibizioni muscolari. Tanto, sulle questioni che contano, decide lui. Ha messo la faccia con l'Unione Europea e non intende cedere il passo sulle riforme decisive per l'Italia (e necessaria per ottenere i fondi del Recovery plan): fisco, giustizia e semplificazione amministrativa e burocratica (su cui lavora alacremente il Sancho Panza di SuperMario, il rinato Renatino Brunetta).
La smaniosità di Salvini, che s'agita perché sente il fiato sul collo della Meloni e di Fratelli d'Italia, è un fuoco di paglia: se dovesse uscire dalla maggioranza, non toccherebbe più palla (a partire dalle nomine).
I suoi, con Giorgetti in testa, gli hanno fatto capire in tutti in modi che forzare la mano, come avvenne con il proclama del Papeete per il governo Conte-1, non serve: "Stai calmo, rilassati, non possiamo rompere".