Giulia Zonca per “la Stampa”
«Ici c'est Paris», è scritto a caratteri cubitali nel nuovo cuore di Doha, a Msheireb, dove il deserto incontra il design e dove il Comitato supremo ha piazzato il quartier generale, sede della festa per la finale ideale. In pieno Qatargate si compone la sfida Messi contro Mbappé costruita sulla rotta Parigi-Doha. Un intreccio di soldi ed emozioni che è già il ritorno di un investimento miliardario.
Il Mondiale costato 220 miliardi di euro, per rifare la nazione intera, si ripaga con un poster. Il sette volte pallone d'oro contro l'ultima meraviglia del calcio che ha già vinto una Coppa del mondo a 19 anni e potrebbe fare il bis a 23. Entrambi giocano nel Psg e nessuno dei due definirebbe l'altro compagno di squadra.
Messi ha firmato nel 2021, dopo 17 anni al Barcellona per un totale di 550 milioni da guadagnare in cinque anni. In teoria, al momento dell'acquisto record, il Psg avrebbe dovuto rispettare il tetto salariare, ma la Francia di Macron, scatenato tifoso in tribuna nella semifinale contro il Marocco, ha preferito rilassare le regole usando il Covid come scusa. Liberi tutti e non è esattamente la prima volta, proprio Parigi è stata il ponte essenziale tra il Qatar e la Fifa (ancora targata Blatter) nella sciagurata assegnazione del 2010, quella che ha portato per la prima volta il torneo in un Paese arabo ma pure la più inquisita di sempre.
Messi e Mbappé sono il meglio del meglio e giocano sopra un terreno che ha visto il peggio del peggio. Così la partita perfetta per gli organizzatori è pure quella che racconta le contraddizioni di una competizione riuscita a meraviglia, a prezzi giganteschi. Non si parla di dollari, quelli ce li ha messi il Qatar e se li può permettere ma di sostenibilità, diritti, legittimità, per usare la parola che il calcio proprio non regge: morale. Questo sport può sempre sbandierare tutte le cose buone che fa (parecchie) e tutti gli aiuti che dà a cause benemerite (abbondanti), per giustificare il marcio che gira.
Il Qatar ha pagato il rinnovo più caro della storia: mentre Messi incassa 41 milioni a stagione e trova metà della sua fortuna in sponsorizzazioni non legate all'attuale club, Mbappé ha un contratto intricato con clausole a salire e bonus a raddoppiare. Se gli tiene fede dovrebbe guadagnare quasi 630 milioni in tre anni, eccesso più eccesso meno, ma lui già scalpita, come ogni estate, per passare al Real Madrid.
Forse ora glielo lasceranno fare. L'ultima volta pare che a sbloccare i dubbi residui, poi placcati d'oro, ci abbia pensato proprio una telefonata di Macron. La conversazione resta privata ma il tema era all'incirca: la patria ha bisogno di te per i suoi affari con il terzo produttore di gas al mondo. Ora la prospettiva cambia.
Messi contro Mbappé potrebbe pure essere la coda di un'operazione sostenuta per l'immagine dell'intero Qatar. Un'enorme carissima e riuscita pubblicità. L'emiro Nasser Al-Khelaifi ha acquistato il Psg nel 2011, giusto un anno dopo l'assegnazione di questi Mondiali, per 70 milioni e adesso ipotizza una vendita con una base d'asta di 4 miliardi. Il fondo qatariota ne ha messi in circolo 1,6 in questi 11 anni.
Lo scettro dello sportwashing, quel sistema che scambia i campioni con la credibilità internazionale, passa all'Arabia Saudita che immagina un campionato con Ronaldo (subito) e Messi (a breve), che ha già il numero 10 argentino sotto contratto come uomo copertina e avanza candidature per i Mondiali 2030. Quando la finale sarà probabilmente tra due dei futuri assi del Newcastle, la squadra rilevata dai sauditi per aprirsi le porte dell'Occidente. Il Qatar insegna si gode la sua finale.