Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Mamelici, rabbiosi e fradici. Meglio così. Il fango si addice a squadre da trincea come l’Italia, una sciagura invece per i calligrafici barboncini da moquette di Del Bosque. Il diluvio che si scatena a Parigi, nell’esatto istante in cui il turco fischia l’inizio, è l’estensione apocalittica e rovesciata delle lacrime di Messi oltre oceano. Di là la resa, di qua il furore. Il segno, comunque, che qualcosa di enorme sta accadendo.
Ne accadono subito due, la zuccata di Pellè e la parata impressionante di De Gea. Sotto l’acqua, l’azzurro pesta che è una bellezza, mentre i bianchi sembrano dei pollicini zuppi che hanno perso la mamma e la strada di casa. Uno spettacolo i due in panchina per quanto diversi, il marchese Del Bosque è una filtrazione da Cervantes, una sontuosa e venerabile mucca. Al massimo della temperie emotiva si lascia andare a una digressione del pollice che sfiora il labbro inferiore. Conte è una filtrazione esagerata della sua terra esagerata, il Salento, terra di tarantolati, manca poco che prenda il volo. Si straccia giacca e cravatta che tengono duro.
Smette di piovere e la partita risulta ora più chiara e facile da leggere. Palla agli spagnoli, carini ma nemmeno tanto, compassati, sterili e piuttosto ottusi nel cercare dall’esterno la correzione a centro area dove i Barzagli, i Bonucci e i Chiellini spadroneggiano. Quando l’Italia riparte fa sempre male. E’ chiara la fragilità dietro degli spagnoli.
E’ ancora un brasileiro, Eder, il lanciafiamme. Sulla sua botta e il vorrei ma non posso di De Gea, la correzione bisontesca di Chiellini, tanto per dire che i quattro samurai sono venuti a difendere gli omini del villaggio dai prepotentoni, ma sono capaci anche di far male. Vista così, la Spagna oggi, come il Belgio prima, sembrano squadre disegnate apposta per esaltare il paleohomo italicus erectus.
Lo sappiamo da sempre. Quando l’Italia è al massimo della sua isteria è al massimo di se stessa, che è poi l’essenza del tardellismo, disciplina, furore, bava alla bocca e siam pronti alla morte. Undici piselloni armati. Persino De Sciglio, una mammoletta, s’è fatto crescere unghie da lupo.
Si chiudono e ripartono compatti. Di là, evanescenza. Suo Maestoso Pallore, cioè Iniesta, non si ritrova in tanta mischia plebea, ci vorrebbe l’equivalente di un Rafa Nadal nel loro branco, ma non ce l’hanno.
Si riparte e non cambia di molto il copione. Spagna inutile che morde appena a inizio ripresa e azzurri che si pappano di tutto in contropiede. Esce De Rossi, difensore aggiunto, e si balla un po’ di più, mentre l’allenatore del Chelsea non sta più nelle mutande, quelle sì ancora azzurre. Il finale è sofferenza totale, ma quando Piquet già esulta, Buffon o chi per lui, mette la mano o lo sciamano.
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Il 2 a 0 di Pellè è solo pazzia e stavolta Conte prende davvero il volo.