Giorgio Terruzzi per il ''Corriere della Sera''
La testa: svelta. Il carattere: esuberante, ironico, sensibile. Una persona di prim' ordine per chi ha potuto conoscerla a fondo dentro una carriera lunga 210 Gran Premi. Quattordici anni in pista, dieci vittorie, la metà delle quali ottenute con Ferrari, sei stagioni con il Cavallino.
Dal 1987 all' 89 e dal '93 al' 95, dopo una parentesi ad alta intensità in McLaren con il suo grande amico Ayrton Senna. Gerhard Berger sta per compiere 59 anni (27 agosto) e di Enzo Ferrari conserva una galleria privata di ricordi formidabili: «Mi chiamò il suo assistente Marco Piccinini, ero a casa ed era una telefonata che avevo solo sognato di ricevere una infinità di volte. Stava seduto, sorrideva. Disse: avremmo piacere di averla con noi.
Dissi: è ciò che più desidero da quando corro. Chiese: lei ha un manager, un avvocato?
Non ne avevo. Dunque, può decidere qui ora? Risposi: certo. Firmammo il contratto all' istante».
Ultimo pilota scelto personalmente da Ferrari, anche se l' ingaggio di Nigel Mansell per il 1989 venne annunciato un mese prima della morte di Ferrari (14 agosto 1988): «Non so se fu una decisione del Commendatore e non so se Mansell e Ferrari si siano mai incontrati. Ma non importa, la mia memoria è un privilegio da conservare per sempre».
gilles villeneuve enzo ferrari
Sorride Berger, alza la testa in una espressione di orgoglio, poi si intenerisce nel racconto: «Sin dalle prime corse, nel 1987 venni accolto in quella famiglia leggendaria. Dopo una corsa o un test, pranzavamo insieme, c' era un piccolo tavolo dietro l' ufficio di Ferrari, stavamo lì a chiacchierare con Michele Alboreto, il mio compagno, Marco Piccinini e Piero Ferrari.
Due argomenti fissi. Primo: le macchine. Secondo: le donne. Finito di discutere di tecnica, passava alle ragazze del paddock, era molto interessato al gossip da pista».
«Nel 1987 avevamo una buon a macchina. In Portogallo ero al comando: testacoda. Finii secondo, vittoria regalata a Prost. Passano alcuni giorni e ricevo una lettera di Ferrari: Caro Berger, ho ammirato e sofferto la sua bella corsa. Bravo! Sarà per la prossima volta.
Quella lettera, incorniciata, mi accompagna da allora, segna un modo, uno stile unico. Ed anche una dolcezza che Ferrari spesso mascherava in pubblico. Sa cosa penso? Che se tornassi indietro, prenderei casa a Maranello, vivrei lì giorno e notte, pur di non perdere un solo istante di vicinanza con Enzo Ferrari, ogni gesto, ogni parola, con attorno quell' atmosfera magica, fatta di cappuccini al bar, di persone prese da una passione straordinaria, di campane che suonano se una Ferrari vince.
Quando sei giovane, non capisci a fondo, pensi a vincere e basta. Poi monta un rimpianto che non va via più».
«Piero Ferrari era molto vicino al padre, il suo parere era tenuto in grande considerazione sui temi tecnici. Ma quando tornai alla Ferrari nel '93 qualcosa era cambiato, mancava un indirizzo preciso, in aggiunta la macchina disegnata da John Barnard presentava troppi elementi nuovi. Credo che l' arrivo di Luca di Montezemolo fu importantissimo. Non poteva avere la stessa personalità di Enzo Ferrari, ma il piglio era simile e dunque perfetto per attutire quel vuoto».
«Ferrari morì in pieno agosto. Se guarda le statistiche del 1988 trova 15 vittorie McLaren su 16 gare. Unica eccezione: Monza. Vinsi le corsa, Alboreto secondo. Fu un vero tributo, una festa popolare commovente e inaspettata. Ma, vede, talvolta il destino va incontro ai desideri più forti».
«Per me Ferrari era come il Papa. E il Papa vero e proprio, Papa Wojtyla, venne in visita alla Ferrari. Era il 4 giugno 1988. Le cronache riportano che Enzo Ferrari, sofferente, fosse rimasto a casa.
Ma io sono convinto che fosse lì, a Fiorano, nascosto. Il Papa e Ferrari non parlarono al telefono, come venne scritto, ma si incontrarono veramente, magari nell' ombra del vecchio ufficio del Commendatore che poi era un santuario colmo di sogni, avventure, storie preziose».