(ANSA) "Tutto può succedere, ma mi sembra improbabile che ci possa essere un'altra candidatura nei prossimi vent'anni". Lo ha detto Giovanni Malagò, presidente del CONI, al termine della riunione dell'esecutivo nazionale del Comitato olimpico convocata a Cagliari in concomitanza con il trofeo Coni-Kinder. "Questo è un tavolo a tre gambe - ha spiegato - con Comune, Governo e Coni. Senza una gamba la candidatura perde forza: accettiamo questa situazione consapevoli della perdita di credibilità internazionale".
2. FUGA DALLE OLIMPIADI
Francesco De Dominicis per “Libero Quotidiano”
Roma non è un fenomeno isolato. Non sono solo i Cinque stelle a bocciare le Olimpiadi. Né i cittadini romani - che hanno detto «no» ai giochi votando la grillina Virginia Raggi come sindaco lo scorso giugno - rappresentano un caso unico nel Mondo. E poco importa se il modo con cui il Campidoglio ha comunicato ai vertici del Coni l' atteso dietrofront sia arrivato con modalità poco eleganti.
I contribuenti (che a Roma già pagano le tasse più alte d' Italia) guardano la sostanza e sanno bene che l' affare, ormai, è rinunciare. Non a caso, sono sempre di più le città che snobbano i giochi olimpici rispetto a quelle che si candidano a ospitarli. Sono «gare» per pochi intimi: le Olimpiadi non convengono, certamente spaventano.
Con buona pace degli esponenti del Partito democratico e del comitato promotore di Roma2024 (guidato da Giovanni Malagò e da Luca Cordero di Montezemolo) supportati da una buona fetta di establishment capitolino, pronto a sfornare cifre strabilianti dopo l' annuncio di Raggi. Il «no» farebbe perdere alla capitale 5 miliardi di euro di investimenti e migliaia di posti di lavoro. Valli a verificare, certi numeri.
Niente da fare: il muro di Virginia è stato letto come una mossa scellerata. Eppure, prima della Capitale si era tirata indietro Boston, non proprio una cittadina di serie B. Un' associazione locale sosteneva che l' evento avrebbe comportato ben 14 miliardi di dollari: troppi, anche a giudizio del sindaco Marty Walsh, che già l' anno scorso formalizzò, un po' a sorpresa, il ripensamento. Quell' annuncio spiazzò l' opinione pubblica americana, tant' è che Los Angeles, a questo punto favorita su Parigi, scese in campo come sostanziale ripiego made in Usa. Lo Zio Sam ha evitato una figuraccia.
In ogni caso, ora si assiste a una corsa ristrettissima e ciò è dovuto anche al passo indietro di Amburgo, Monaco (Germania) e Budapest (Ungheria). Mica solo Roma si è sfilata. Di sperperare denaro pubblico non va più a nessuno. E in questo senso Atene (Grecia) insegna: per la manifestazione olimpica del 2004 il budget iniziale era di 5 miliardi mentre il conto finale arrivò a 20 miliardi.
Quello ellenico, peraltro, non è l' unico precedente di quattrini buttati al vento. Londra 2012, altro salasso: da 2,4 miliardi di sterline stimati a 8,9 miliardi spesi dalla Gran Bretagna. Un po' più indietro e dagli archivi spunta Toronto 1976 (Canada): da 250 milioni di dollari a 2,3 miliardi. Malagò sostiene che le regole del Cio (il Comitato internazionale) siano diventate assai più restrittive e che i fondi necessari per l' intera organizzazione siano nettamente inferiori rispetto al passato. I timori, tuttavia, prevalgono sugli entusiasmi.
In ogni caso, il motto «Olimpiadi, no grazie» non è un discorso legato ai solo giochi del 2024. Il fuggi-fuggi ha caratterizzato anche le Olimpiadi del 2022: i no di Cracovia (Polonia), Leopoli (Ucraina), Stoccolma (Svezia) e Oslo (Norvegia) avevano lasciato in campo solo Almaty (Kazakistan) e Pechino (Cina) che alla fine ha vinto nonostante l' assenza di neve e il coinvolgimento obbligato di altre città del Dragone. Senza dimenticare che la capitale cinese ha già subìto una mazzata da 40 miliardi di euro per le Olimpiadi estive di otto anni fa.
MALAGO' RAGGI BACIAMANO - ALLE SPALLE DELLA SINDACA L'AVVOCATO PIEREMILIO SAMMARCO
La Russia ha speso 50 miliardi di dollari per i giochi invernali del 2014 (quelli di Sochi). A mettere in fila un po' di questi numeri è stato ieri il Wall Street Journal, che nei giorni scorsi aveva criticato la giunga 5 Stelle della Capitale accusandola di essere partita col piede sbagliato («poca esperienza», «squadra inseguita da scandali»).
Stavolta l' autorevole quotidiano americano ha snocciolato quei numeri che la stessa Raggi avrebbe dovuto mettere sul tavolo nel confronto (cancellato) con Malagò per motivare e argomentare il mancato sostegno. E gli argomenti non mancano.
Alcuni, clamorosi «precedenti» italiani (dai mondiali di calcio del 1990 a quelli di nuoto del 2009) non sono modelli di gestioni impeccabili. E prevarrà pure la retorica degli sprechi, ma è quasi impossibile fidarsi di chi sostiene che i giochi sono «l' occasione per lanciare un progetto significativo di riqualificazione urbana». Balle: non è mai stato così, non solo a Roma, non solo in Italia.
3. IL TIRATORE D’ORO DELUSO DAL DIETROFRONT DEI 5 STELLE
L’intervento di Niccolò Campriani pubblicato da “la Repubblica”
Ognuno vale uno è il principio fondante del Movimento Cinque Stelle. Viva la democrazia diretta come direbbe Jean-Jacques Rousseau (Grillo è arrivato dopo). Ma allora che fine ha fatto il referendum promesso dalla sindaca Raggi in campagna elettorale? Questo è uno dei punti cruciali che non quadra nella diatriba di Roma 2024.
Il no secco di Raggi è una scelta politica. Non si è voluti entrare nel merito del dossier e non sono state fatte proposte alternative. Allora questa scelta andrebbe legittimata con una consultazione popolare, questo sì in vero stile grillino.
«Quello che i romani pensano delle Olimpiadi lo hanno detto al ballottaggio, il 70% ha detto no» ha dichiarato la sindaca. E qui sta il peccato di presunzione. Perché se da una parte è vero che i 5 Stelle hanno da sempre espresso scetticismo sui Giochi, dall’altra Raggi, nel confronto a Sky con Giachetti, si era inequivocabilmente impegnata sul referendum. Forse allora almeno una parte di quel 70% di elettori era più per un “Sì al Referendum” che per un “No alle Olimpiadi”.
E non finisce qua. I due elettori su tre a cui si riferisce la Raggi fanno riferimento al 50% di affluenza del ballottaggio. Tradotto (mi scuso ma qui viene fuori l’ingegnere che è in me): alla fine parliamo di circa 770 mila anime, appena un romano su tre. Ed è evidente che una interpretazione “disinvolta” dell’opinione di un terzo dei cittadini romani non rappresenta una prova inconfutabile della volontà popolare.
Da cittadino certamente non ostile alla filosofia 5 Stelle mi permetto di invitare la sindaca e tutto il movimento, semplicemente, a mantenere la parola data. I risultati potrebbero essere sorprendenti. E la sfida, per loro, epocale.
L’alternativa è agghiacciante, specialmente per uno della mia generazione. A noi hanno detto “no” quando c’era la sinistra, «perché rubavano»; hanno detto “no” quando c’era la destra per lo stesso motivo, e hanno detto di no persino i tecnici. Ora ci siete voi, quelli trasparenti e onesti: se ci dite “no” pure voi, non ci resta che andarcene all’estero.
Ascoltiamo tutti allora, come avete promesso, anche quelli che per pigrizia o timore si erano defilati. E qui l’esempio di Amburgo, citato proprio dai 5 Stelle, calza a pennello. Lo scorso anno la città tedesca ha organizzato un referendum vincolante sulla candidatura che ha visto prevalere il no per l’1%. 51 a 49 e tutti a casa. È la democrazia bellezza. Roba da inorgoglire anche uno come Rousseau.