“LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE HA VOLUTO SILURARMI PER DISTRUGGERE LA REPUTAZIONE DEL MIO ALLENATORE SANDRO DONATI, CHE DA SEMPRE LOTTA CONTRO IL DOPING” – LA VERSIONE DI ALEX SCHWAZER A “OGGI” – “GLI ALTRI ATLETI NON MI HANNO MAI CHIAMATO. HANNO TUTTI PAURA. DOVREBBERO ALZARE TUTTI LA VOCE PER AVERE LA GARANZIA CHE I CONTROLLI ANTIDOPING NON POSSANO SUBIRE MANOMISSIONI” – LA DEPRESSIONE, LA SQUALIFICA. DAL BARATRO MI HA SALVATO LA…”
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Anticipazione da Oggi

 

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«Nel momento più difficile della mia vita, dopo la seconda, ingiusta squalifica per doping, è arrivata mia figlia. L’amore della mia famiglia mi ha salvato. Ho capito che un’altra vita oltre allo sport era possibile.

 

Con loro ho smesso di essere un ragazzo e sono diventato uomo. Nella nostra casa non c’è una coppa, o una medaglia, una foto mentre corro. È la casa della mia famiglia, non il museo Alex Schwazer: io lì sono solo un papà. Una serenità che mi dà forza: finalmente ho sentito di avere al mio fianco qualcuno pronto a darmi manforte in qualsiasi battaglia».

alex schwazer alex schwazer

 

Alex Schwazer parla in esclusiva a OGGI che nel numero in edicola domani mostra anche una bellissima foto di famiglia. Dice il marciatore: «Perché la federazione internazionale ha voluto silurarmi? Per distruggere la reputazione del mio allenatore Sandro Donati, che da sempre lotta contro il doping. Se avessero voluto colpire solo me bastava squalificarmi in gara per qualche irregolarità tecnica».

 

Alla domanda se qualcuno l’abbia chiamato, visto che anche altri atleti potrebbero essere vittima della contaminazione delle provette antidoping, come sarebbe capitato a lui, dice: «Mai. Hanno tutti paura. Ci vorrebbe una protesta di massa degli atleti. I dirigenti pensano di essere la cosa più importante dello sport, ma senza gli atleti lo sport non esisterebbe, e dovrebbero alzare tutti la voce per avere la garanzia che i controlli antidoping non possano subire manomissioni».

SANDRO DONATI E SCHWAZER SANDRO DONATI E SCHWAZER

 

Poi ricorda i suoi errori, «una lunga discesa verso l’inferno. Dopo aver vinto l’oro olimpico nel 2008 a soli 23 anni, mi imponevo allenamenti pesantissimi e i risultati peggioravano invece di migliorare. Avrei dovuto fare una pausa, riposare, e invece con testardaggine ho insistito, finendo nella depressione più nera. La squalifica per doping del 2012 è stata una fortuna. Sono stato costretto a riflettere, a chiedere aiuto».

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