Alessandra Ziniti per “la Repubblica”
«La montagna, la mia montagna, non mente e, se ancora ce ne fosse bisogno, con quello scarpone ha definitivamente restituito la verità sulla morte di mio fratello. E la verità, ovviamente, è quella che ho sempre raccontato».
LO SCARPONE RITROVATO DI GUNTHER MESSNER
La verità di cui parla Reinhold Messner è improvvisamente riemersa, 52 anni dopo la tragica fine di suo fratello Günther, dal ghiacciaio del Damir sul Nanga Parbat, la vetta da record ( 8.000 metri) del massiccio dell'Himalaya in Pakistan che i due fratelli raggiunsero il 27 giugno del 1970, il giorno prima che una valanga travolgesse e uccidesse Günther.
Reinhold riuscì a scendere a valle sei giorni dopo, in fin di vita. Il corpo del fratello con un solo scarpone venne ritrovato solo nel 2005. E in quei 35 anni Reinhold Messner ha dovuto difendersi anche dall'accusa di aver abbandonato il fratello Günther durante la salita per la smania di raggiungere il traguardo da solo.
Messner, cosa dimostra oggi questo scarpone?
LO SCARPONE RITROVATO DI GUNTHER MESSNER
«È l'ultima, indiscutibile prova che Günther è scomparso durante la discesa, non durante la salita. Già nel 2005 il suo corpo venne ritrovato lungo il versante Damir del Nanga Parbat, quello che avevamo preso per tornare giù visto che, da dove eravamo saliti, era proibitivo risalire.
Io andavo avanti ad aprire la strada, lui dietro. Poi non l'ho più visto, l'ho cercato per una notte e un giorno, ma ho trovato solo i segni di una slavina.
Ed è proprio lì che 35 anni dopo l'hanno ritrovato. Con un solo scarpone. E ora ecco l'altro».
Chi l'ha trovato? È proprio sicuro che sia il suo?
«Ma certo, quegli scarponi erano unici. Erano stati realizzati apposta per la nostra spedizione. Io e gli altri componenti siamo riusciti tutti a tornare giù. Quello scarpone quindi non può essere che il suo. Mi hanno chiamato dal Pakistan qualche giorno fa per dirmi che è stato ritrovato da gente del posto ai piedi del Diamir e mi hanno subito mandato la foto. Adesso lo aspetto qui a Bolzano e lo metteremo al Messner Mountain Museum. Spero che tutti, a cominciare da chi ha provato a conquistare fama e soldi con queste bugie, si mettano l'anima in pace».
Perché tanti veleni attorno a questa spedizione che le ha dato il successo per lei più doloroso?
«Dovrebbe chiederlo a chi, per vendere qualche copia di un libro o solo per far parlare di sé, ha ordito questa infame calunnia. Mi hanno dato del fratricida, mi hanno accusato della cosa più orribile: aver abbandonato mio fratello per arrivare da solo in cima. Ma ora non conta più niente. Io ho perso un fratello 52 anni fa: Günther aveva solo 24 anni ed è rimasto vivo e giovane nella mia testa e nel mio cuore, in quello della mia famiglia e di tutta l'Italia che ci vuole bene e che ci è stata accanto in questi 50 anni di sofferenza».
Prova ancora tanta rabbia.
«No, ormai non più. Io e la mia famiglia abbiamo ritrovato pace e serenità. Tutti noi vogliamo sapere come sono morti i nostri cari e normalmente non è difficile saperlo. Ma quando perdi un figlio, un fratello a 24 anni, hai bisogno di sapere, di vedere, di toccare direi. Io dal primo momento ho raccontato a casa ogni particolare ma quando è stato ritrovato il corpo tutta la famiglia è andata a vedere e toccare il posto dove è morto Günther. Ed è stato molto importante per noi».
Qual è l'ultimo ricordo che conserva di suo fratello?
«Sono immagini drammatiche, quelle dell'ultimo giorno, quando abbiamo cominciato a scendere da soli perché non si poteva aspettare. Ci guardavamo con la speranza di farcela, ma con la consapevolezza che saremmo morti entrambi. È un miracolo se sono rimasto vivo, quando mi hanno trovato a valle non mangiavo da sei giorni e pesavo 56 chili. Io sono uscito dalla morte».
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