di Matteo Cassol per www.mowmag.com
Abbiamo chiesto a Vittorio Sgarbi di spiegarci meglio il suo punto di vista sul motociclismo: “Ieri ho espresso un pensiero che ho sempre avuto in mente sin dai tempi di Clay e Ragazzoni nelle auto. Non c’è bisogno di portare le performance fino all’estremo”. Soprattutto oggi che “c’è un’attenzione marcata alla salvaguardia della salute in tutti i settori”. Oltretutto, aggiunge, “se tutti potessero andare alla stessa velocità il talento emergerebbe di più”
No, tutto considerato Vittorio Sgarbi non vuole chiudere il motociclismo. Lo abbiamo sentito dopo il suo post che aveva pubblicato in seguito alla notizia della morte di Jason Dupasquier, povero pilota di Moto3: “Mi chiedo – aveva scritto, attirandosi gli strali di molti appassionati – che senso abbia praticare sport in cui si mette continuamente a rischio la propria vita e quella degli altri. Una competizione non può diventare una sfida alla vita. A quali principi s'ispira uno sport del genere? Però qualcuno non vuole il Palio di Siena per non mettere a rischio i cavalli. I ragazzi sì, i cavalli no?” A voce, Sgarbi conferma i propri dubbi su alcuni aspetti delle discipline motoristiche, ma non mette in dubbio il valore dei piloti: a loro tutela, gli parrebbe però più sensato imporre un limite di velocità ai loro mezzi.
Sgarbi, può commentare quello che ha scritto e spiegarci perché l’ha fatto?
“In un periodo in cui in tutti i settori c’è un’attenzione fin troppo marcata alla salvaguardia della salute, mi pare lecito interrogarsi sull’opportunità di continuare ad assistere a eventi sportivi con incidenti del genere. Una cosa che non mi pare faccia nessuno, mentre d’altra parte molti si oppongono al Palio di Siena o alle corride. Sembra che gli uomini, peraltro spesso giovanissimi, siano ritenuti meno meritevoli di tutela dei cavalli o dei tori”.
Lei pare aver in qualche misura messo in discussione il valore del motociclismo. Non vorrà dirci che non ritiene per esempio un Valentino Rossi uno sportivo meritevole di ammirazione?
“Senz’altro tra i motociclisti e gli automobilisti, perché il mio discorso vale anche per le auto, c’è chi ha un talento mirabile, ma credo che quel talento potrebbe tranquillamente essere espresso anche a velocità inferiori, perché il punto è quello. Quando vai così forte e così al limite, l’incidente mortale è inevitabile. Si potrebbe per esempio imporre un limite di 180 all’ora, in modo che il rischio si riduca di molto. Non c’è bisogno di portare le performance dei motori fino all’estremo”.
Anche nel ciclismo e in altre discipline senza motore ci sono comunque dei morti, o no?
“Sì, ma con una frequenza assai inferiore. Alla fine mi pare sempre questione di quale velocità raggiungi. Le corse dove tutto è legato alla velocità inevitabilmente comportano morti, quindi uno può fare una valutazione di opportunità rispetto agli elementi causali”.
La riflessione su questo tema le è scaturita solo dopo la morte di Dupasquier o aveva già questo pensiero?
“Mi era venuto già con gli incidenti automobilistici degli anni che furono, in particolare con i casi di grandi corridori come Niki Lauda e di Clay Regazzoni. È stata una riflessione maturata nel corso del tempo e rafforzata dopo tutti gli episodi che si sono susseguiti nel mondo dei motori”.
Limite di velocità dunque in tutti gli sport motoristici?
“Come già detto, la velocità è la chiave di tutto. Peraltro imponendo un limite uguale per tutti, che sia 180 o 200 all’ora, i piloti potrebbero misurarsi ed esprimere il proprio talento ad armi pari: il più abile sarebbe tale per capacità sue anziché per quelle di un mezzo superiore agli altri. Oltre a maggiore sicurezza – conclude Sgarbi – ci potrebbe dunque essere anche maggiore competitività”.