Il Messaggero intervista Claudio Ranieri, primo allenatore dell’era-Abramovich al Chelsea. Quanto sta accadendo con la guerra in Ucraina, dice, mostra in modo evidente che lo sport non è più un’isola felice.
«C’è il versante del mondo che ruota attorno alle squadre di calcio, fino al coinvolgimento dello sport nella guerra in Ucraina. Siamo al superamento di schemi consolidati, come il principio dello sport zona franca. Sarebbe bello se lo sport fosse davvero un’isola felice, ma così non può più essere».
Ricorda il primo incontro con Abramovich
«Era giovane ed entusiasta. Sembrava un ragazzo al parco giochi. Era molto presente. Veniva spesso alle partite e a volte, per parlare con calma, viaggiavo sul suo aereo privato al rientro dalle trasferte. Voleva essere informato e capire. Acquistò il Chelsea perché ci eravamo qualificati in Champions all’ultima giornata di campionato, superando il Liverpool. Se non avessimo centrato quell’obiettivo, la storia dei Blues sarebbe stata diversa».
Nel 2003, quando il magnate russo comprò il club, la situazione era diversa.
«Non mi ricordo approfondimenti particolari in Inghilterra».
Ora le cose sono cambiate.
«Questa vicenda pone qualche domanda e immagino che saranno stabilite regole più severe sulle proprietà rispetto a quelle in vigore ad esempio nella Premier».
Non devono comunque essere né i tifosi né gli allenatori a chiedersi da dove vengano i soldi per acquistare un club.
«Io credo che non debbano essere i tifosi o gli allenatori a preoccuparsi da dove provenga il denaro. Oggi a un allenatore si chiede tutto, ma non si può saper tutto. Noi alla fine siamo uomini di calcio, con le nostre idee e le nostre sensibilità, ma non abbiamo le competenze di chi governa il sistema».
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